giovedì 31 dicembre 2009

2009

Vorrei pubblicare le mie riflessioni sull'anno che ci stiamo lasciando alle spalle, come fosse un bilancio. Innanzitutto devo dire che è stato un anno negativo, dal mio punto di vista, anche se di eventi positivi ce ne sono stati, anche molto; ma la sua tendenza è indiscutibilmente negativa. Cosa è successo questo anno di così negativo? Beh, in primis non sono riuscito a fare tutto quello che avrei voluto, anzi, per pigrizia o per incapacità non mi è riuscito di fare tutti gli esami che avrei voluto all'università e non sono nemmeno riuscito a scrivere tutto ciò (romanzi e racconti, principalmente) che mi sarebbe piaciuto. In secondo luogo, sono sempre abbastanza solo, nonostante alcuni eventi abbiano fatto si che per la maggior parte del tempo non lo sia: ma oggettivamente, se prima non avevo nessuno ora ho ben poche persone che posso definire "amici veri", mentre il resto del mondo sembra ostile a me e al mio "essere diverso" dalla massa. Certo, razionalmente per me contano solo gli amici, e il resto non ha importanza, ma il fatto che si insulti spesso me e la mia intelligenza, che si cerchi sempre di farmi del male, mi intristisce e non poco. Questo per quanto riguarda ciò che di male è stato, che anche se sembra poco non lo è affatto. Di buono invece, questo anno ha portato un po' di sollievo alla mia solitudine: se alcune persone che credevo "amiche" mi hanno abbandonato, dimostrandosi dei falsi ai quali non importava nulla di me, ho finalmente trovato delle persone sincere e amichevoli, degli amici veri, insomma, con cui mi trovo benissimo, e che rendono quest'anno non del tutto da buttare via.

Per quanto riguarda la mia produzione, a quest'anno devo tutto, credo. Ho aperto il blog proprio quest'anno, sulla spinta della mia creatività fino ad allora inespressa, e ho cominciato a sperimentare. Artisticamente (ma non solo), credo di essere molto cresciuto e maturato, e dai primi esperimenti non proprio riusciti sono riuscito a trovare uno stile di scrittura che sento mio personale, anche se non credo sia troppo originale (esiste ancora l'originalità? Per me oramai già tutto è stato scritto, o quasi). Insomma, in definitiva il 2009 è stato un anno a tinte chiaroscure, con cose che vorrei dimenticare per sempre e cose che invece sono contento di aver fatto. Mi auguro solo che il nuovo anno (e il nuovo decennio) siano migliori, e che il prossimo anno sia ancora qui, a dire quanto l'anno 2010 sia stato bello e positivo per me (cosa di cui dubito). Detto questo, non resta che dare l'addio al 2009 e agli anni '00 e fare a tutti i miei lettori un augurio per il 2010 e per gli anni '10.

giovedì 17 dicembre 2009

Oltre la fine

Questo si sta rivelando un periodo abbastanza prolifico, per me, quindi riesco a produrre con più costanza i racconti. Questo è uno di quelli "dedicati", e la protagonista di questo è Emanuela, colei che considero la migliore amica che abbia mai avuto; quindi, in qualche modo, è un racconto "speciale", perché è scritto con molto affetto e penso sia sopra la media dei miei racconti. Niente altro da dire se non che spero sia di gradimento.

Oltre la fine

Come ogni volta che era al lavoro, anche quel giorno Emanuela doveva stare al computer a badare agli affari della gigantesca villa a cui era addetta. Era la garante della padrona di casa, perciò doveva controllare che fosse tutto in ordine, e che i muratori che stavano prendendo parte alla ristrutturazione rigassero diritto. Ogni tanto però poteva svagarsi, specie dal computer che la faceva star male se lo usava per troppo tempo; e quel giorno ne aveva terribilmente voglia, visto che la sera prima, per chissà quale motivo, aveva dormito molto poco, in preda all'insonnia. Si staccò dal pc e, per sgranchirsi un po' le gambe, addormentate per colpa delle ore passate a sedere, si avviò per i corridoi dell'immensa abitazione. Era passata per quelle enormi e lussuose stanze per mille volte, ma sempre, ad ogni nuova occasione, ne era assolutamente meravigliata, come se quel posto avesse un fascino sovrannaturale; o forse ad incantarla era il gigantesco parco che si osservava fuori da ogni finestra, a darle quella sensazione, da grandissima amante della natura come ella era.

All'improvviso, mentre camminava in un corridoio del primo piano, successe qualcosa di inusuale: per un secondo, sentì la testa girarle, ma subito dopo tutto tornò ad essere normale, e la ragazza, pensò a una sensazione di un attimo che era già passata, senza dar alcun peso alla cosa. Girando un angolo, però, si ritrovò in un luogo della casa che non aveva mai visto. Si guardò intorno, pensosa, e poi realizzò che in effetti in quel posto c'era stata, ma dall'ultima volta sembravano passate delle ere, visto che praticamente tutto era diverso E che differenze! Se prima era un ambiente come un altro, ora sembrava essere passato un tornado da quelle parti, il mobilio era in pezzi, i muri erano scrostati e pieni di crepe, e il pavimento era coperto di uno strato di fine polvere. Che cosa era successo? Ogni risposta (topi, un muratore maldestro, un vandalo) apparivano a Emanuela improbabili. Prese a camminare per il corridoio lentamente, e man mano che avanzava lo spettacolo era sempre più devastato. Si fermò davanti alla porta di una stanza che aveva uno piccolo forellino irregolare, da cui filtrava della luce, e dopo aver valutato la situazione decise di aprirla e di entrare. L'interno fu terribile a vedersi: dove prima c'era una bella camera con tanto di letto a baldacchino e di caminetto, ora si trovavano solo grossi pezzi di macerie, mentre in alto si vedeva un cielo coperto da nuvole nere ma stranamente luminoso, non più occultato dal tetto ormai crollato. Presa dal panico per colpa di quella vista, la giovane uscì correndo e si precipitò al piano di sotto, notando con ancor più sgomento che il percorso che ripercorreva a ritroso presentava la stessa distruzione, in ogni ambiente della casa, che sembrava quasi comparsa magicamente nel poco tempo trascorso tra l'andata e il ritorno. Cercò per tutta la casa i muratori, o almeno qualcuno che potesse aiutarla, ma invano: una grande villa in rovina e deserta, ecco cos'era quel posto. Che diavolo era successo lì, e perché? Provava a trovare una risposta, ma non riusciva proprio a ragionare, a trovare un motivo, una qualsiasi spiegazione, pur interrogandosi moltissimo. Ad un trattò notò in un angolino della stanza in cui si trovava un bagliore metallico: si avvicinò, e scoprì che era una bicicletta dall'aspetto vecchio e malandato, ma che sembrava ancora possibile usare, finita chissà come là. Senza indugi, decise di prenderla per recarsi in paese a cercare indizi su cosa era successo, o almeno qualcosa che la aiutasse almeno un po' a risolvere il mistero.

Entrambe le gomme della bicicletta erano a terra, perciò per arrivare a destinazione la ragazza dovette faticare non poco; e quando arrivò, lo spettacolo che trovò una volta giunta fu desolante e spaventoso, ovunque c'erano rovine a non finire, le strade erano invase di calcestruzzo e di mattoni staccatesi dalle case, molte delle quali presentavano grossi fori e aloni neri, segni di un incendio non troppo recente. Qualche brandello del centro medievale era ancora in piedi, ma la maggior parte del resto era diroccato, compresa la bellissima chiesa romanica della città. Girò il paese a piedi, faticando anche un po' a trovare passaggi tra le macerie che in certi punti formavano a volte anche piccole muraglie irte di grossi spunzoni di cemento, e man mano che camminava la disperazione aumentava. Com'era possibile che la città fosse stata rasa al suolo? E da chi? Ma soprattutto, la gente che fine aveva fatto? In tutto il giro, non aveva trovato la benché minima traccia di una persona, nemmeno un minimo rumore aveva turbato il silenzio irreale di quel posto se non quello dei suoi passi. La situazione era allucinante ed insieme insopportabile, e mentre cominciava a far buio sotto il cielo plumbeo Emanuela, sopraffatta dalla disperazione, smise di girare e si abbandonò a sedere su un muretto. Proprio allora, sentì dei rumori attutiti, come di passi, che si facevano pian piano più forti, finché da dietro una struttura diroccata emerse una figura. Era enorme, una personaggio umanoide alto almeno tre metri in una tuta completamente bianca che lasciava una visiera all'altezza di quella che doveva essere il volto, ma era oscurata e il viso non si vedeva affatto. Appena la vide, il gigante cominciò a correrle incontro ad una velocità sproporzionata; la ragazza si spaventò enormemente e cercò di sfuggire, ma invano: l'essere fu su di lei in un attimo, e la immobilizzò tra le braccia in una presa di ferro, per poi portarla via.

Tentò di liberarsi per una decina di minuti, ma invano, la stretta era veramente d'acciaio; poi il gigante aprì una porta che si apriva nel terreno e discese delle scale, trovandosi in un locale illuminato da delle fioche lampade al neon. Aprì l'unica porta, e poi cacciò senza troppi complimenti la ragazza in una specie di grande tubo di vetro, che si chiuse intrappolandola. Un liquido rosato salì rapidamente nel tubo, e Emanuela, ancor più terrorizzata e temendo il peggio, chiuse gli occhi tappandosi il naso, mentre ne veniva completamente sommersa. Dopo pochi secondi, però, il liquido defluì, e successivamente un soffio di aria calda la asciugò piuttosto rapidamente. Poi il tubo si aprì dall'altra parte, e la giovane poté uscire in un ambiente vuoto, simile al primo ma più grande. Nel tubo, intanto, vide colui che l'aveva venir sommerso e poi venir asciugato come era successo a lei, ed infine uscire. Improvvisamente si aprì una cerniera, e dalla tuta uscì un uomo tutt'altro che grande e possente, poco più alto di lei: ma la cosa che colpiva di più era la sua grande magrezza, il volto pallido ed emaciato (ed in qualche modo familiare) con pochissimi capelli in cima, e il corpo smunto e ai limiti dell'anoressia. Per la prima volta dall'incontro egli parlò, in una lingua un po' strana ma molto simile al dialetto del comasco, che quindi lei capiva benissimo, e con una smorfia sorpresa le chiese come si era trovata la fuori. La ragazza non seppe rispondere, e non riuscì nemmeno a replicare alle successive domande dell'uomo sulla sua provenienza, tanto era lo sconcerto. Allora, l'uomo, che le rivelò di chiamarsi Stefano, la accompagnò oltre la porta, a visitare una struttura dall'ambiente asettico e metallico, che quasi sembrava uscito da un film di fantascienza. Le mostrò quella che sarebbe stata la sua stanza, un piccolo locale spoglio di mobili ma piena di strani interruttori e lucine sulle pareti, e con solo una branda su un lato, e poi la lasciò là, da sola.

Qualche ora più tardi, venne chiamata per la cena, e lì riuscì, anche se con molta fatica, a sbloccarsi e a parlare finalmente con Stefano. Questi, intuendo che l'ospite non sapeva nulla di ciò che era successo (anche se non sapeva spiegarselo), le parlò partendo dall'inizio di tutta quella storia. Emanuela apprese allora che nel 2015 era scoppiata la guerra mondiale, brevissima ma intensissima. Non si sapeva chi era stato il primo ad utilizzare le bombe atomiche, quel che era certo era che quando il presidente Statunitense Barack Obama era stato ucciso in una congiura e sostituito da un vertice di folli militari, per il pianeta Terra era stata la fine. L'Europa era stata invasa dagli integralisti islamici, che avevano imposto la shari'a ovunque, trucidando chi non si adeguava, ma la loro vittoria era stata vana; le nuvole di radiazione si erano estese ben presto all'intero pianeta, e ben presto sia vincitori che vinti erano rimasti uccisi, tranne una piccola frazione che era riuscita a sopravvivere, grazie a dei mezzi tecnologici di gran avanguardia, come il liquido annulla-radiazione o la super-tuta: ma nonostante ciò, ormai sulla Terra sopravvivevano pochissime persone, che non potevano contattarsi se non a distanza (la tuta non reggeva più di un ora le radiazioni, e non si potevano quindi intraprendere lunghi viaggi), e che comunque, mangiando e bevendo cibi ed acqua dai quali non era possibile cancellare del tutto l'irradiazione nucleare, stavano agonizzando ogni giorno di più. Il pianeta era morto, il sole si vedeva solo per qualche decina di giorni l'anno, mentre per il resto del tempo era oscurato da nubi radioattive, che spesso scaricavano la loro pioggia mortale sul terreno ormai disseccato; e la radioattività era terribile, aveva ucciso perfino i batteri (e per questo il cibo esterno, come le carcasse degli animali, si poteva mangiare e non si decomponeva). Stefano le disse anche che essendo stata esposta senza tuta all'ambiente esterno, la ragazza si sarebbe potuta ammalare seriamente di “distruzione nucleare del corpo”, e non ci sarebbe stata cura a quel punto, quindi doveva prepararsi al peggio, se fosse successo. A Emanuela tutto questo sembrava assurdo, non voleva credere di essere stata proiettata avanti nel tempo e soprattutto che fosse successo un evento di tal portata. Era la fine del mondo; anzi, era addirittura oltre di essa. Non riusciva a crederci, ma sapeva che in fondo quella era la verità, e la cosa la faceva stare veramente male. Finì il piatto che le aveva offerto l'inquilino della base, poi andò a dormire direttamente, nell'abbattimento più totale.

Si svegliò all'incirca alle sei del mattino, secondo l'orologio della camera che aveva imparato ad usare, in preda ad atroci dolori di stomaco. Accese la luce, e la prima cosa che notò furono intere ciocche dei suoi lunghi capelli sparpagliati sul cuscino da cui si era appena alzata, che la fecero inorridire non poco. Svegliatosi, Stefano accorse nella sua stanza, e con espressione triste e delusa, le annunciò che era stata colpita dalla distruzione nucleare del corpo, e che l'unica cosa che poteva fare era decidere se restare là dentro con l'assistenza della tecnologia, soffrendo nella più totale agonia, per qualche mese, oppure se preferiva uscire, per accelerare il processo. Senza pensarci due volte, Emanuela scelse di andarsene, e con rassegnazione l'uomo la accompagnò, fino all'uscita. Scossa da un secco male alla pancia, camminò per un po' allontanandosi molto dal bunker, riuscendo infine a guadagnare la cima di una collina, e lì, ormai stremata dalla sofferenza, si fermo. Sedette sotto il sinistro scheletro di una quercia, tremando, mentre il vento le accarezzava le guance, su cui fatali lacrime scendevano, a salutar la vita che presto l'avrebbe abbandonata. Come d'incanto, all'orizzonte sorse lentamente un grande sole rosso, che riusciva a far capolino tra le nuvole, come a dare un estremo addio alla giovane e al pianeta Terra ormai agonizzante, in uno dei rari momenti dell'anno nel quale si poteva ammirare. Lo spettacolo era bellissimo quanto terribile, e i pensieri della ragazza consumavano le sue ultime energie mentali nella contemplazione della piccolezza dell'uomo di fronte al cosmo; nel mentre la pelle cominciava a pruderle. Solo quando se ne accorse ricordò che l'uomo, tra le altre cose terribili, le aveva detto che la guerra aveva annientato anche lo strato d'ozono della Terra, e che per quello era pericolosissimo uscire quando c'era bel tempo. Ormai la pelle bruciava in un vortice di rosso dolore, e si ustionava, torturando la povera ragazza, che con le ultime energie gridò, prima di chiudere gli occhi per l'ultima volta.

Il dolore alla pelle era sparito, come quello alla pancia, non sentiva più nulla. Era morta, e si trovava nell'aldilà? Eppure era così strano, si sentiva normalissima... tirò su la testa dal piano dove era appoggiata, e si guardò intorno. Ciò che vide la sorprese: la villa era lì, come l'aveva lasciata. Realizzò che il viaggio nel futuro con annessa morte, come anche il semplice viaggio al piano superiore era stato frutto solo della sua immaginazione, e che si era addormentata. Forse era stata una premonizione del futuro, o forse solo un sogno senza senso, in un sonno dovuto all'insonnia del giorno prima, del giorno prima; fatto sta che Emanuela non dimenticò mai quell'incubo orribile, che metteva in guardia l'umanità tutta da un destino possibile, evitabile solo attraverso il senno e la ragione.

lunedì 14 dicembre 2009

Son io o son loro?

In attesa del prossimo racconto (che arriverà a brevissimo), posto qui sul blog un'altra poesia di quelle più tristi. Questa è stata una tra le prime che ho scritto, ormai mesi fa, ma che (inutile ripeterlo) abbastanza spesso la sento di attualità (anche se forse è esagerata rispetto alla verità). Spero comunque sia di gradimento

Son io o son loro?

Ogni tanto mi pare di trovarmi in quella barzelletta
In cui la moglie telefona al marito per avvertirlo
Che c’è un pazzo in contromano, senza sapere
Di star parlando proprio con questo.

Ma in ciò che provo io
Non c’è proprio nulla di comico
Il mondo ai miei occhi pare
Totalmente sbagliato.

Non esiste la felicità, qui
Solo ipocrisie e sopraffazione
E posso solo pensare che questo pianeta
Sia un errore da cancellare dall’universo

sabato 12 dicembre 2009

Decadenza

Dopo oltre un mese e mezzo dal mio ultimo racconto, nel quale ho avuto poco tempo ed energie mentali per concepirne uno, sono tornato a scriverne uno. Tutto è cominciato da un sogno che ho fatto qualche tempo fa (quest'estate, se non erro), in cui ho immaginato questa specie di "parcheggio sotterraneo" pieno di persone, e delimitato da una zona tanto luminosa da risultare impenetrabile, semplice bianco che si stagliava nella semioscurità di quei luoghi. Le mie vicende personali mi hanno poi portato ad essere sempre più critico e sfiduciato nei confronti della maggior parte del genere umano, fino a che queste sensazioni mi hanno spinto a inserire, nella base del sogno (che di per se non aveva praticamente nulla di negativo), un racconto disincantato e illuso, una metafora della società moderna quasi caricaturale, visto che le sue tendenze negative sono amplificate all'estremo, ma che non per questo è troppo lontano dal descrivere il degrado morale e materiale del mondo che ci circonda. Il finale, infine, è enigmatico, non significa nulla in particolare se non quello che ognuno gli da; detto questo, spero solo che sia di gradimento.

Decadenza

Un enorme zona coperta. La Struttura era questo, un soffitto immenso sorretto da pilastri di cemento armato spaziati quella quindicina di metri che bastava per rendere l’ambiente arioso e dare una sensazione di spaziosità. Era quello che gli uomini conoscevano, quell’ambiente, per loro non c’era altro. D’altronde, ai limiti della quasi infinita zona coperta, si vedeva la luce, talmente intensa da accecare, di giorno, mentre di notte pesanti porte di metallo si chiudevano a coprire mentre le lampade interne alla struttura si affievolivano sempre più, fin quasi a spegnersi. Andare fuori per gli uomini era una cosa priva di senso, oltre che rischiosa, fuori c’era l’ignoto, il pericolo, lo sapevano tutti; ma anche se così non fosse stato, era proibito categoricamente uscire, pena la morte. Nella Struttura, ognuno aveva ciò di cui aveva bisogno: un quadrato delimitato da quattro colonne da condividere con la propria famiglia, che aveva sbocco su una dei quadrati che non ospitavano famiglie, una strada, insomma. All’interno di ogni quadrato, c’erano i letti dei familiari, il tavolo dove apparivano, due volte al giorno, dei piatti pieni di cibo, ogni volta diversi, e i servizi igenici. Nessuna privacy di alcuna sorta, tutto si svolgeva sotto gli occhi dei vicini, ma agli uomini di questo nulla importava: bastava che la “casa” fornisse loro, oltre al cibo, l’alcol e gli oppiacei di cui avevano tutti bisogno, e che ogni uomo potesse dare adito ad ogni istinto non danneggiasse le altre persone. Si vedevano spesso crudissime scene di sesso senza alcun ritegno, orge, vandalismo a non finire contro gli oggetti; niente violenza, quella poca che c'era era severamente punita dalle forze dell'ordine, ma questo non rendeva quel mondo meno marcio e meno decadente. Ad ogni angolo della strada, qualcosa bruciava oppure emanava fetidi odori, i rifiuti erano dappertutto nelle strade ed i robot addetti non riuscivano a pulire quasi nulla, l’odore di quei luoghi era mefitico. Gli uomini erano però abituati a quella situazione, e non ci facevano caso, anzi ignoravano tutto e passavano il loro tempo tra un rapporto sessuale, una tirata di oppio, un’ubriacatura e soprattutto la visione di programmi televisivi, programmi tutti incentrati su reality shows tenuti da altra gente della struttura oppure di dibattiti su qualsiasi tema. Si era perso tutto, la ragione, le emozioni, i sentimenti, l’arte, la cultura, la conoscenza, tutto, solo gli istinti più bassi contavano, in quel luogo.

Un giorno, però, qualcosa accadde. Un ragazzo, figlio di una famiglia come tante altre, iniziò a sentire che c'era qualcosa che non andava, in tutto quello. Cominciò a riflettere, e più rifletteva più capiva che tutto quello era profondamente sbagliato. A diciotto anni rifiutò di compiere l'iniziazione all'oppio e all'alcol, tradizione umana fin dall'inizio dei tempi, generando scandalo in tutto il quartiere. Da quel momento in poi, per questo e per tutti quei suoi modi di fare contrari alla norma e al comun vivere, era da tutti deriso, insultato, e continuamente infastidito. Era triste, quel ragazzo, una persona molto triste, e spesso, sotto le coperte, unico luogo in cui nessuno lo vedeva, piangeva lacrime amare. Vedeva la gente attorno a se che non provava alcun rimorso a far soffrire gli altri e lui in particolare, e che, senza alcuna emozione tirava avanti; e non capiva perché non poteva essere come gli altri, insensibile al resto del mondo. Nonostante ciò, però, non si vergognava di essere diverso, anzi, ne era stranamente fiero, e non avrebbe mai voluto cambiare per nulla al mondo. A venti anni, lasciò la casa dei suoi genitori, e per qualche anno vagò senza fissa dimora per la Struttura, alla ricerca di un qualcosa di cui non era a conoscenza ma che al quel punto bramava avere. Ovunque andasse, sempre veniva irriso, sempre ciò che pensava gli creava problemi con gli altri. Più visitava nuovi posti, all'interno della struttura, e più la sua delusione aumentava, più il suo disgusto verso le persone cresceva, e sempre più si sentiva perso, come se il mondo non fosse il suo posto. Si sentiva sempre più triste e sempre più solo, e cominciò a pensare e a ripensare alla morte e al fatto che la sua vita fosse orribile ed insensata.

Poi le cose cambiarono, all'improvviso. Per un evento fortuito, conobbe alcune persone che condividevano molte delle sue idee, e che si comportavano in maniera gentile e amichevole, come nessun altro prima era mai stato con lui, e come non ne esistevano, nella Struttura. In breve, si affezionò a queste persone, sentendo crescere un grande affetto per loro, e vedeva che anche essi ricambiavano. Era amicizia, un sentimento che non aveva mai sperimentato, che nel mondo, tranne lì, non c'era affatto. Più passava il tempo con quelle persone in quel posto magico, più la sua sensibilità aumentava, fino a che egli divenne un essere nuovo, un essere amichevole e gentile, che non si chiudeva in se stesso e non era più deluso dagli altri. Allora, le sue attenzioni si rivolsero nuovamente alla Struttura. Con la sua nuova sensibilità, non riusciva a sopportare che la maggioranza delle persone desse importanza a piaceri fugaci e falsi piuttosto che ad una interiorità vera e sincera. Prese così, aiutato dai suoi amici, a esporre le sue idee davanti alle altre persone, sperando di riuscire a convincerle che soddisfare solo i piaceri più bassi è sbagliato e un giusto equilibrio tra emozione e razionalità è la cosa migliore, ma invano. Man mano che passava il tempo, la gente diventava anzi sempre più ostile, finché, l'ultima volta, non venne chiamata la polizia. Mentre i poliziotti sparavano senza pietà sul suo gruppo, uccidendone gran parte, egli fuggì assieme a colei che era la sua migliore amica in assoluto, riuscendo ad evitare miracolosamente le pallottole. Corse per ore senza pause, fino ad arrivare, spossato, al limitare della struttura. La luce era fortissima come al solito, ma lui non aveva più paura: tanto era il disgusto del mondo che aveva alle spalle, che non voleva più farne parte.

Camminando lentamente, uscì assieme alla sua amica. Gli occhi li facevano male, mai nella Struttura si era mai vista una luce così intensa. Attraversò la luce e si spostò in una zona che intuiva essere più adombrata, e poi aprì, lentamente, gli occhi. Il tetto piatto della struttura si estendeva lì davanti, appena visibile con l'oscurità che c'era, mentre la luce era data da un potente faro, che puntava verso il basso. Lì intorno, oscurità più totale, non si vedeva nulla se non quel poco illuminato dal riverbero della fila di lampioni che continuava, circondando completamente la Struttura. Passò qualche ora in cui i due stettero vicino al lampione, discutendo sul da farsi; poi un forte rumore che li fece sobbalzare accompagnò la chiusura delle porte di ferro, e il successivo spegnimento improvviso del faro. Ma l'oscurità non sembrava più così totale, allora. Sopra di loro, il soffitto che sembrava, a differenza di quello della luogo da dove venivano, estendersi all'infinito sopra di loro, si colorava di un azzurro chiaro. Poi, una gigantesca palla di fuoco si levò dall'orizzonte, dipingendo il mondo di colori che i giovani non avevano mai visti, e illuminando un paesaggio fantastico. Sopra la struttura, c'era un verde intensissimo, e così anche a terra, c'erano delle specie di verdi capelli che spuntavano dalla terra, mentre in lontananza si vedevano addirittura altissime colonne rivestite di un abito verde scuro. Era caldo, lì fuori, e non c'era alcuna protezione al di sopra delle loro teste, ma ai due non importava nulla, era così bello quel mondo in cui erano arrivati che a loro non importava. Erano finalmente fuori dalla decadenza materiale e morale della società, fuori dalla portata di ognuna di quelle persone malvagie e stupide, fuori da un mondo che non li accettava. Erano liberi, finalmente.

lunedì 7 dicembre 2009

Esperimento fallito

Come avrete potuto vedere, dopo nemmeno un mese ho tolto gli avvisi pubblicitari dal mio blog. Il fatto è che il mio account Adsense è stato disattivato senza un apparente motivo, e senza comunicarmi uno straccio di ragione plausibile, e la cosa mi ha fatto arrabbiare. Invece di chiedere spiegazioni, ho tolto tutte le pubblicità, e di questa storia non se ne riparla mai più (sono fatto così, del resto, non posso farci nulla).

mercoledì 2 dicembre 2009

Pronto il sesto capitolo

Ho concluso la scrittura del sesto capitolo del mio romanzo, e come al solito vi invito a richiederlo a me (via mail o nei commenti del blog) qualora ne abbiate voglia, come potete richiedere gli altri se li avete persi. Quest'ultimo capitolo è brevissimo, il più breve che abbia mai scritto, ma è importantissimo ai fini della storia. Spero comunque sia di gradimento.

P.S. mi scuso per aver prodotto così poco nuovo materiale, ultimamente. Spero di riuscire a ricominciare a produrre, a breve.