venerdì 22 gennaio 2010

Rivoglio indietro la mia natura!

In attesa di postare qualcosa di nuovo, posto qui una poesia scritta parecchio tempo fa, e che per questo è anche abbastanza "triste" (ora sto attraversando infatti un periodo che seppur tra mille difficoltà è molto molto felice, e di poesie tristi proprio non me ne vengono). Questa comunque non è la solita poesia triste, ma piuttosto una poesia "naturalistica", per così dire. Non sarà tra le migliori ma spero comunque sia di gradimento.

Rivoglio indietro la mia natura!

Verdi colline, enormi foreste
Alte montagne ricoperte di neve
Cieli stellati e prati infiniti
Ecco ciò che mi piace.

Ma ho il bisogno di stare in città
Grigia e piena di fumo
Senza posto dove sentirmi
Veramente in armonia col mondo

E non posso far altro che sospirare
Per lo spettacolo che sto perdendo
Qui, dove madre natura è stata uccisa.

mercoledì 20 gennaio 2010

Mutua distruzione cosmica

Come promesso, eccomi qui con l'ultima delle mie produzioni dei giorni "d'esilio", come li ho soprannominati. Magari questo racconto non sarà proprio tra i più riusciti, sarà anche banale, ma comunque ci tenevo a metterlo qui. Classico racconto di fantascienza apocalittica come ne ho fatti tanti; il titolo è una storpiatura di "Distruzione mutua assicurata", un termine che indica l'annientamento di entrambi i contendenti di una ipotetica guerra atomica. Spero proprio che sia di vostro gradimento.

Mutua distruzione cosmica

Da quasi un millennio ormai che l’umanità si ponevano la stessa domanda, da ancor prima che le tesi che erano state la fine per Giordano Bruno erano state confermate con la scoperta dei primi pianeti all’esterno del sistema solare. Ancora la domanda era irrisolta: esisteva la vita nell’universo, al di fuori della terra? Poi quell’anno, il 2955, successe. Nei cieli di tutto il mondo apparvero delle grandiose ed enormi navi spaziali dall’aspetto certo strano ma paragonabili a quelle con cui i terrestri viaggiavano attraverso il loro sistema come aspetto, non certo a quei “dischi volanti” che tanto erano radicati oramai da secoli nella cultura e nell’immaginario collettivo. La sorpresa fu tantissima sulla Terra, e ancor di più fu sorprendente quando gli alieni, utilizzando probabilmente un traduttore molto sofisticato, in un inglese perfetto comunicarono di voler parlare con i capi della Federazione Solare, che sarebbero dovuti salire sulla nave per discutere di importantissimi processi in corso, che avrebbero deciso il destino della Terra.

Il presidente della Terra e quelli delle colonie sparpagliate sui vari pianeti, satelliti e asteroidi, si presentarono all’incontro scortati da un piccolo esercito di guardie dell’Esercito Federale, ma nonostante queste misure di sicurezza la loro preoccupazione era visibile a tutti, anche alla stragrande maggioranza della popolazione del sistema solare che li guardava in olovisione, mentre essi salivano sulla nave madre extraterrestre, un’astronave grande quanto una città dipinta quasi totalmente di un bianco intonso e quasi innaturale. Dopo tre giorni, nei quali non si ebbe nemmeno la più piccola notizia, i capi della Federazione Solare ridiscesero distesi e quasi gioiosi, Spiegarono al mondo, in una conferenza stampa a reti unificate nell’olovisione (un evento senza precedenti), che gli alieni avevano in mente di far entrare la Terra e la sua federazione di colonie nella Confederazione della Galassia Unita, l’ente che teneva insieme praticamente tutti i pianeti abitati da esseri abbastanza intelligenti. Questa confederazione aveva trovato il Sistema Solare quando un segnale terrestre (per la precisione quello inviato dal progetto SETI) era stato captato fortuitamente dai radiotelescopi di Ba’haran, uno dei pianeti che ne facevano parte. Dopo una ricerca durata qualche anno, si era finalmente individuata la fonte, e dopo altri anni di osservazione, con le navi confederate che, travestite da asteroidi, ospitavano i sociologi e gli psicologi che avrebbero dovuto valutare se gli abitanti di quel sistema fossero abbastanza avanzati moralmente e scientificamente. Il responso era stato infine positivo, e così la Terra sarebbe stata il pianeta numero 626688 ad entrare nella confederazione galattica.

Gli ospiti delle navi, una rappresentanza di centinaia di razze diverse, aveva consegnato all’umanità i progetti per il viaggio interstellare istantaneo; le basi teoriche e tecnologiche per costruire navi iperspaziali c’erano già, sulla Terra, ma mancava solo la chiave di volta per far funzionare il tutto. I fisici alieni che erano arrivati spiegarono a quelli umani che l’iperspazio non esisteva naturalmente nel cosmo, ma veniva generato sfruttando l’incredibile energia del centro galattico, e avvolgeva tutta la Via Lattea. Ciò che all’uomo mancava, l’indirizzamento per accedere a questo particolare iperspazio, venne rivelato, e così l’uomo ebbe la possibilità, tanto sognata e tanto agognata di volare nello spazio libero, e per questo di far parte della confederazione galattica.

Purtroppo, però, gli scienziati che avevano analizzato la razza umana avevano sottovalutato un punto: la loro incredibile avidità, che seppur veniva nascosta in quei tempi di “vacche magre” che aveva preceduto l’entrata nella Confederazione, era pur sempre presente. Certo, nei primi anni di appartenenza all’ente galattico, l’atteggiamento degli uomini era stato sincero, ma più si rendevano conto degli immensi orizzonti che si erano loro aperti con quella nuova prospettiva, più in loro nasceva un’incredibile brama. Cominciarono allora, in gran segreto, la produzione di armamenti in enormi quantità, e nel mentre l’ostilità immotivata e xenofoba nei confronti delle altre pacifiche e tolleranti razze aumentava, anche se i rappresentanti della Federazione Solare non lo davano certo a vedere, anzi tentavano di mantenere sempre dei buonissimi rapporti con gli altri pianeti. La tensione umana aumentò fino a quando, a metà dell’anno galattico 2.611.257, corrispondente all’anno terrestre 2990, il Sistema Solare dichiarò di volersi espandere e di voler intraprendere delle conquiste nella galassia. Nei cieli di un migliaglia di pianeti apparvero allora, tutte contemporaneamente, delle flotte di astronavi, costruite con le risorse che la stessa confederazione aveva fornito ai terrestri. Ne discesero intere legioni di robot, programmati per uccidere chiunque tranne che quei pochi umani che erano in trasferta su quei pianeti. Presi alla sprovvista, i governi planetari si dovettero arrendere senza quasi colpo ferire, senza nemmeno cercare di difendersi, sperando così di salvare almeno la vita, ma invano; vennero ugualmente sterminati. In pochi giorni, tutti i pianeti attaccati furono conquistati; allora tutte le fabbriche lì presenti furono riconvertite dai robot alla produzione di robot e armi sfruttando le risorse planetarie. Ed infine i robot ripartirono ancor più numerosi, alla volta di altri pianeti da conquistare.

In pochi anni, la galassia era caduta sotto il controllo dei robot mentre gli uomini, ancora quasi confinati al solo Sistema Solare, attendevano lo sterminio di tutte le altre razze con grande attesa e con grande gioia, insensibile all’eliminazione di miliardi di vite ogni giorno, prima di occupare tutto ciò che era stato conquistato. Avvenne allora che, mentre tutte le legioni robotiche convergevano su Haroth Waxin, il pianeta capitale della Confederazione della Galassia Unitam i rappresentanti superstiti del Parlamento Galattico decisero di mettere da parte, per la prima volta da quasi due milioni di anni, la tanto radicata ed inviolabile dottrina pacifista. Con le tecnologie avanzatissime e segrete di cui disponevano riuscirono, invando una singola nave spaziale radiocomandata nel Sistema Solare, a trasformare il sole in una supernova, distruggendo ogni forma di vita del sistema. Purtroppo, fu una vittoria inutile, visto che gli abitanti di Haroth Waxin vennero tutti sterminati mentre la supernova Sole esplodeva, e il pianeta veniva annientato, per ultimo in tutta la galassia. Insieme ad esso, fu distrutto anche il mega-computer lì presente che gestiva l’iperspazio, e come risultato il viaggio interstellare non poté più esistere, condannando gli equipaggi delle navi che viaggiavano in quel momento ad una morte orribile, per fame o per sete, in mezzo al nulla cosmico. Nella galassia, oramai non c’era più vita: i “vincitori erano stati spazzati via, e così i vinti. Solo i robot rimanevano, ma senza ordini da parte degli umani non potevano agire, e una volta concluso l’ultimo loro compito rimasero immobili, per l’eternità, come disattivati. E dove prima c’era vita, ora solo silenzio, un silenzio eterno e impenetrabile, in tutta la Via Lattea...

martedì 19 gennaio 2010

Grave dimenticanza!

Ho appena realizzato di aver dimenticato di festeggiare il primo anniversario di questo blog, che cadeva il 7 gennaio scorso, ovvero, oltre una settimana fa. A mia parziale discolpa, devo dire che quel giorno non avevo nemmeno la rete, ma avrei dovuto ricordarmene prima lo stesso. In occasione di questa scoperta, comunque, sono andato a rileggere i primi post. E' stato davvero strano e singolare farlo, e notare quanto sono cambiato e cresciuto in un solo anno (e non parlo solo dello stile di scrittura, che non è cambiato poi troppo, mi riferisco proprio a me stesso!). Ecco, credo sia tutto quello che avevo da dire, una ricorrenza festeggiata con estremo ritardo. Per quanto riguarda il racconto che ancora ho "in canna" e che ho promesso, penso di riuscire a pubblicarlo online per domani.

giovedì 14 gennaio 2010

Bianco

Pubblico ora uno dei racconti che ho scritto nei giorni precedenti, che annunciavo nel precedente post. E' probabilmente il più corto che abbia mai scritto, visto che è brevissimo, ed è forse anche il più sperimentale. Quello che è certo, è che è frutto di una sensazione di malessere e di depressione che avevo in quei giorni e che purtroppo, per colpa di alcune persone e di alcuni fatti, provo ancor ora, nonostante avessi sperato che, una volta cessata la solitudine, sarebbe cessata anche questa "sensazione". Un avvertimento, comunque: non c'è chissà quale senso dietro alle parole del racconto, è semplicemente un parto della mia depressione e tristezza estrema. Non dico altro se non che spero sia di vostro gradimento.

Bianco

Mi risvegliai mentre la neve scendeva in piccoli fiocchi giù dal cielo, che si posavano in silenzio sul terreno, anch’esso ricoperto da uno spesso strato candido. Oh, com’era bella! Quasi avevo timore di alzarmi e di camminarvi sopra per non macchiarne la splendida purezza. Qualcosa di a me oscuro e misterioso mi diceva però di andarmene da lì, e che la neve poteva essere pericolosa; e dico che era arcano, perché la mia mente era candida esattamente come quel manto innevato. Non ricordavo nulla, nemmeno il mio nome, e prima del risveglio non c’era assolutamente nulla, solo bianco, solo luce. Così mi alzai, e sentendomi leggero più che mai presi a camminare.

Mi avviai in una direzione che scelsi a caso ma che per qualche bislacco motivo mi attraeva immensamente, e camminai, andando avanti a lungo. I giorni lasciavano il posto alle notti, e poi di nuovo ai giorni, mentre proseguivo assolutamente in pace con me stesso, senza bisogno alcuno, senza nemmeno i morsi della fame, nonostante non mangiassi nulla. Mi ritrovai, chissà come ad un certo punto in un piccolo paese di campagna, e i miei piedi mi guidarono come se avessero una vita propria, su per una strada sterrata, attraverso i campi e la boscaglia. Che bello! Anche se non c’erano foglie sugli alberi, e anche se tutto era in tonalità di bianco, il panorama era veramente bellissimo, e mi trasmetteva un’atmosfera felice. Arrivai in cima alla tortuosa strada senza la minima fatica, nonostante qualcosa dentro me mi dicesse che non fossi proprio una persona così atletica, e vi trovai una casa. Era una bella abitazione di due piani, con il terrazzo e un comignolo che fumava allegramente. Incuriosito, mi avvicinai, e mi misi a sbirciare da una finestra. Dentro, una donna e un uomo di mezza età si stavano vestendo in maniera molto elegante e distinta; poi arrivò anche una ragazza, di non più di sedici anni. Fu allora che mi accorsi, con grande sgomento, che tutti e tre i membri di quella che aveva tutta l’aria di essere una famiglia, era colpita dall’angoscia e da un mood molto tetro, e che la “madre”, di tanto in tanto, singhiozzava sommessamente. Il gelo che mi assalì allora fu indescrivibile, ed improvvisamente condivisi il dolore con quelle persone a me sconosciute, anche se non conoscevo il motivo di tanta sofferenza. Senza vedermi, la famiglia salì in macchina, e partì.

Don una strana tristezza nel cuore, ripresi a camminare, e come prima, i miei piedi mi condussero dove essi volevano. Arrivai vicino ad una costrizione che giudicai stranissima, con le quattro alte mura ma senza tetto; e lì vicino, l’auto con cui la famiglia era partita da casa. Spinto da una misteriosa curiosità, entrai: e vidi una bara che veniva calata sotto terra, davanti ad una lapide, mentre poche persone, tra cui la famiglia, assistevano al rito funebre. Mi avvicinai, e ancora una volta un brivido di freddo percorse la mia schiena alla vista della disperazione di quella povera gente. Mi venne l’impulso di confortarli, così andai ancor più vicino alla tomba: e lì vidi la foto sulla lapide. Era un ragazzo che assomigliava molto a sua madre, ma quando i miei occhi incontrarono quelli della fotografia, come un fulmine mi attraversò la mente, riempiendomi di dolore e di paura; e d’improvviso mi ricordai ogni cosa. Il terrore più cupo fu la prima cosa che provai. Ma ero IO! Io, e solo io! Erano la mia famiglia, la mia lapida, ed era il mio corpo che veniva sepolto!

Oramai ricordavo tutto, allora, tutta la mia vita; e ricordavo anche la mia morte. Rimembravo quella grande luce bianca in fondo al tunnel, e quella voce arcana che mi chiamava, dicendomi “corri! Corri verso la luce!” fino a quando non mi ero risvegliato senza ricordi. Il peggio fu ricordare quello che c’era stato prima: la mia vita era andata peggiorando sempre più, sempre di più, era una sofferenza continua. Avevo deluso i miei genitori, avevo immense difficoltà con la gente che se la prendeva con me senza otivo, e mi sentivo solo e perduto, nonostante avessi degli amici sinceri. Con loro ero felice(soprattutto con una di loro), e se potessi, tornerei indietro, penso che il torto l’ho fatto anche a loro, oltre che alla mia famiglia, Perché avevo deciso di togliermi la vita, nonostante avessi loro? Era stata davvero una scelta folle, dettata solo da qualche orribile giornata, una fina stupida, da idiota. Ma oramai non potevo più farci nulla: mi ero ucciso, e indietro non si poteva tornare.

Continuai a vagare per quelle terre desolate che, stranamente, sembravano sempre rimanere in inverno, e sempre erano ricoperte di neve, Non potevo avere più gioia e pace nemmeno per la morte, destinato com’ero da un destino crudele a dover rimanere da solo fino alla fine del mondo, guardando quelli a cui volevo bene soffrire per colpa mia. E sono rimasto lì per sempre, immerso nel bianco. Per sempre.

martedì 12 gennaio 2010

Giorni passati in esilio

Torno dopo qualche giorno di assenza dovuta alla mancanza del computer, e non solo: giorni passati da solo completamente, fatti solo di noia e di depressione, insomma giornate orribili. In questo lasso di tempo ho scritto due racconti ed una poesia, ed ecco qui quest'ultima. E' proprio una descrizione di come mi sono sentito in questi giorni, e spero sia di gradimento.

Giorni passati in esilio

In questa buia camera
Solo, senza alcuna
Compagnia, me ne sto
Triste come mai

Non c'è nulla da fare
Nessuno con cui parlare
Allora la noia mi assale
E il mio mondo si restringe
Sempre più

E mentre le mie emozioni
Si appiattiscono totalmente
Mi sento come in esilio:
E' la più cupa disperazione