sabato 31 dicembre 2011

2011

Eccoci qui, arrivati ormai al terzo appuntamento con il bilancio che stillo ogni anno, alla vigilia del terzo anniversario della fondazione di questo blog. Come può immaginare chi ha letto più o meno assiduamente il blog in questo 2011, è stato un anno pessimo per me, da ogni punto di vista. Ho perso la migliore amica che abbia mai avuto, nonché una storia che pensavo fosse a vita, sono stato ricoverato oltre due settimane in ospedale, sono passato dall'essere vicino a tutto ciò che bramo di più a non poterne essere più lontano. Certo, ho ritrovato amici che da tempo non vedevo, ma questo non può compensare la mia gigantesca perdita: un uomo sensibile e idealista come me ha sempre bisogno di una persona speciale, e purtroppo gli amici non possono aiutare in questo. Per questo sto ancora male come il primo giorno in cui mi sono lasciato, e quasi nulla servirà, ne ora ne mai, a farmi stare meglio, anche se penso che se succedesse un miracolo, forse potrei tornare felice come ero l'anno scorso (anche se era tutto di plastica, tutto finto, a posteriori posso dire che non c'era niente di vero, quella volta). A parte questo gigantesco fatto, che mi influenza, come immaginabile, tantissimo, quest'anno sono successe tante altre cose: alcune positive (la nuova impresa di Heavy Metal Heaven, la caduta di Berlusconi, l'annuncio mega-galattico del nuovo tour dei Sabbath originali), ma per la maggior parte le altre sono negative o peggio (meglio che io non le racconti, soffro già abbastanza di mio, e non ci tengo a divulgare i mali che devo subire, cosa che faccio già abbastanza con le mie poesie tristi).

Sul fronte più propriamente produttivo (notare l'eleganza di questa allitterazione :D), per colpa di cose che sono successe e di cui non ho avuto alcun controllo, ho prodotto poco, sia sul piano del mio romanzo "La Ricerca nell'Immenso", sia su quello dei racconti, ne ho scritti davvero pochi. Eppure, questo rimane l'anno, dei tre passati, in cui ho prodotto più post, oltre settanta, e questo è spiegabile col semplice fatto che essendo strato un anno particolarmente doloroso, ho prodotto un numero eccezionale di poesie tristi. Non so se questo sia un bene o un male, ai posteri l'ardua sentenza, io personalmente penso che alcune poesie che ho postato non siano all'altezza, per quanto ritenga altre poesie più che sufficienti, diciamo anche buone. L'anno scorso inoltre ho scritto, nel bilancio di allora, che mi sembrava molto buono quello che scrivevo: ad oggi, ho perso totalmente quella bella fiducia così duramente conquistata, per colpa di quello che è successo; o meglio, sono sicuro che quello che ho scritto nel 2010 sia buono, forse invece quello che ho scritto nel 2011 appena passato non era all'altezza. Spero di superare una parte (quella superabile) di problemi e tornare al meglio nel 2012, ma la vedo dura. Vi chiedo in anticipo scusa se non riuscirò a scrivere contenuti di qualità, l'anno prossimo, ma sappiate che sono solo un uomo con le proprie debolezze, e come tale non riesco, in certi momenti, in questo mio hobby, tutto quello che vorrei.

Vorrei ora concludere questo 2011 con l'auspicio che il 2012 sia un anno più felice di questo annus horribilis appena trascorso, per tutti, anche se probabilmente non lo sarà per me, ma sarà l'anno più squallido e schifoso mai visto (o almeno io parto con questa premessa). Quindi, un augurio da parte mia a tutti i miei lettori, che siano occasionali o abituali.

domenica 25 dicembre 2011

Buone feste!

Sia che festeggiate il Natale, sia che come me siate più realisti e festeggiate la festa del Sol Invictus e la nascita del dio egizio Horus, tanti auguri! Un augurio per un buon Natale e un felice anno nuovo a tutti i miei lettori.

giovedì 15 dicembre 2011

Come cavie in un laboratorio

Come promesso, ecco il mio nuovo racconto, scritto in tempi record, almeno per adesso, visto che non riesco a scrivere tanto e con la stessa spontaneità di prima. Tornando al racconto, è uno dei miei classici racconti di fantascienza, anche se rispetto ai miei soliti racconti ha forse una trama più lineare e meno "a sorpresa" (che questo sia un male o il racconto sia comunque riuscito sta a voi dirlo). Secondo me, pur non essendo il meglio della mia produzione, si legge comunque con piacere, e spero perciò che piaccia anche a tutti i miei lettori

Come cavie in un laboratorio

Tutto ebbe inizio all’incirca negli anni venti del 2100. Era oramai una verità accettata dalla maggioranza della gente che il cosmo aveva un ordine razionale, e che il compito di descriverne il funzionamento fosse un esclusivo dominio della scienza, quella reale che si esprimeva nel il linguaggio della matematica. Quindi, nessuno più credeva alle varie teorie balzane e antiscientifiche a cui molti degli uomini del ventesimo e del ventunesimo secolo avevano dato la propria fiducia. In particolare, per fare un esempio, si erano spiegati gli avvistamenti degli UFO come fenomeni naturali oppure come sviste, e nessuno più credeva ai cerchi nel grano, che si sapeva essere realizzati dall’uomo, ne a chi affermava di essere stato rapito, che poteva essere o un esaltato in cerca di facile fama, oppure uno ammalato di una patologia psichica che implicava, tra gli altri sintomi, le allucinazioni, perciò un caso da ricoverare in un centro psichiatrico. Il paradosso di Fermi si spiegava ormai col fatto che l’equazione di Drake era troppo ottimista ad indicare in centinaia o addirittura migliaia il numero delle civiltà nell’intera galassia; di conseguenza, a quell’epoca si pensava, nell’opinione comune, che sarebbe stato estremamente improbabile che un’altra razza senziente si fosse sviluppata, pur nei miliardi di stelle della Via Lattea. Eppure, queste teorie stavano per essere sovvertite. In un giorno rimasto storico nella storia dell’umanità, il caldo ventidue luglio del 2126, una presenza nuova poté essere avvistata nei cieli di tutto il mondo. Sopra ogni zona di terra emersa (e in alcuni luoghi anche in mare) apparvero degli stranissimi ma giganteschi oggetti, dalla forma sferoidale e fatti completamente di lucido metallo grigio, che non potevano che essere di origine artificiale; e di sicuro non erano oggetti terrestri, ma dovevano essere proprio alieni. Ancora più strana fu la modalità loro arrivo: un secondo prima non c’erano, e quello dopo erano apparse come dal nulla, perfettamente in posizione a circa cento meta dal terreno, senza un rumore e senza nemmeno spostare l’aria. Si calcolò che in ogni luogo fossero apparse nello stesso istante, con una sincronia praticamente perfetta, quasi incredibile. Le reazioni della popolazione furono quasi in ogni caso composte: a parte qualcuno troppo impressionabile, che arrivò addirittura al suicidio, pressoché nessuno ne era spaventato. Si pensava, razionalmente, che se gli extraterrestri erano così sviluppati tecnologicamente da riuscire a superare l’immensità del cosmo, possibilità ancora lontana dalle capacità tecniche dell’umanità, dovevano essere avanzati anche dal punto di vista culturale. Di sicuro, non potevano essere venuti in una maniera aggressiva: nella concezione dell’epoca, infatti, sembrava veramente assurdo che una razza senziente avesse superato l’immensità del cosmo solo per venire a fare la guerra ad un’altra civiltà. Del resto, le guerre erano finite anche su un pianeta che era stato molto bellicoso in passato come la Terra; perciò non c’era motivo di allarmarsi inutilmente. Tuttavia, la curiosità nei confronti dei visitatori era tanta, perciò furono inviati tantissimi messaggi di pace verso le astronavi, in ogni lingua mondiale (nella speranza che gli alieni, superiori com’erano, riuscissero in qualche modo a comprendere) e anche in codice matematico, che era il più adatto, essendo una lingua universale. Passarono diversi giorni, con le astronavi che continuavano, completamente immobili, a levitare nelle loro posizioni; ma tutte le antenne puntate verso il cielo non captarono nemmeno l’ombra di una risposta, a parte il lieve rumore di fondo che le navi non potevano evitare di generare.

I giorni diventarono settimane, poi mesi, e ancora anni. Le sfere, senza muoversi, senza nemmeno evidenziare la benché minima traccia di attività artificiale, rimasero a levitare ovunque erano apparse. Quella staticità allarmava alcune persone; ma la maggioranza della popolazione conviveva bene con quel fenomeno. Eppure, non c’era uomo, sulla Terra, che non si fosse almeno una volta domandato che senso avesse quella silenziosa presenza. C’era chi pensava che fossero disabitate, una specie di satelliti artificiali, inviati sulla Terra con l’unico intento di studiarla ed analizzarla; molti, pur non spaventandosi per questo fatto e mantenendo l’ottimismo, si sentivano comunque a disagio per questo, perché percepivano loro stessi come se fossero un po’ delle cavie in un laboratorio. Altri pensavano che quel fenomeno potesse essere addirittura naturale, frutto di leggi fisiche mai sperimentate fino ad allora, ma che comunque esistevano, vista quell’evidenza. Gli anni passarono, ma tutti i tentativi di spiegare con certezza assoluta la presenza di quegli strani oggetti non andarono in porto. Si provò addirittura a penetrare dentro le astronavi, avvicinandosi dagli elicotteri; ma non c’era alcuna apertura, gli sferoidi erano completamente lisci; ne si pensava di aprire un varco attraverso lo scafo, azione che poteva venire fraintesa come un atto violento, scatenando un malinteso che l’umanità non era disposta a sopportare. Così, il tempo passò, ma nulla cambiò, e nulla accadde.

Il ventidue luglio del 2137, undici anni esatti dopo la comparsa delle astronavi, sembrava un giorno come un altro: eppure, qualcosa stava per accadere. Alla stessa ora (sempre precisa al microsecondo) in cui gli sferoidi erano apparsi, senza preavviso e senza un rumore essi si misero in moto attraverso l’aria, salendo e spostandosi all’unisono, uscendo dall’atmosfera terrestre, e allontanandosi parecchio. Nel giro di un’ora, si disposero in una griglia precisa, in modo da essere omogeneamente distribuiti su tutta la superficie, terrestre o marina che fosse, e ad un’altezza che non era più di cento metri, ma di quasi trecentomila chilometri, quasi la distanza Terra-Luna. Ancora una volta, i terrestri provarono a comunicare con le navi, cercando una spiegazione a quel nuovo fenomeno, ma come sempre non ebbero risposta. Eppure, qualcosa stava per succedere: appena furono tutte in posizione, sempre con una coordinazione straordinariamente precisa, nella parte inferiore si aprì un portello, che prima era nascosto. Da lì, discese improvvisamente un fascio di luce ad alta energia. Gli uomini non si accorsero nemmeno che stavano evaporando, tanto fu rapido l’effetto dei laser, nemmeno ebbero tempo per aver paura: e in pochi centesimi di secondo, la Terra venne completamente vaporizzata, dalla sua superficie fino all’interno del nucleo, e non ne rimase che una nube di pulviscolo, il quale si espanse in tutte le direzioni.

La Terra non c’era più, era stata spazzata via completamente, ma alcuni sopravvissuti umani rimanevano sulla colonia di Marte, che era stato terraformato, e ospitava in quel periodo duemila persone circa. Dopo la scomparsa del pianeta madre, gli abitanti di Marte furono sconvolti e prostrati, tanto da non provare nemmeno ad approntare le difese; ma ebbero comunque la disperazione necessaria di comunicare con quei truci alieni, domandando loro il perché di quell’azione così turpe. A sorpresa, un messaggio venne inviato loro da una delle navette spaziali che ancora sostavano dove prima c’era il pianeta azzurro, in una lingua inglese non perfetta ma tuttavia alquanto comprensibile. I “marziani” fecero appena in tempo ad inorridire per il contenuto del messaggio: poi, in un attimo, nel loro cielo apparve lo stormo di navi nemiche, ancora perfettamente in formazione, e in pochi secondi tutto finì come sulla Terra.

Zig, figlio di Gig e di Trepo, venne duramente redarguito al comunicatore via cavo dal suo diretto superiore, il generale Baton, figlio di Haton e di Malkin. Perché aveva comunicato con gli umani? Eppure lo sapeva che i messaggi che arrivavano dalla Terra non provenivano da una presunta intelligenza superiore come la loro, ma erano una forma di comunicazione primitiva tra esseri non senzienti. Del resto, anche ammettendo che i terrestri fossero intellettualmente simili ai grovelliani, la situazione di crisi del pianeta Grovell non consentiva più la sussistenza di quell’esperimento. Quattro miliardi di anni prima, i grovelliani avevano introdotto tutti gli elementi chimici che consentivano la vita, come l’acqua e l’anidride carbonica, per sperimentare come i meccanismi dell’evoluzione potessero funzionare su un pianeta più radioattivo e particolare come era la Terra, e confermare quindi le leggi che i biologi potevano solo supporre, fino a quel momento. Eppure, da oltre venti anni terrestri a quella parte sul pianeta Grovell scarseggiavano quelle stesse materie prime, che erano fino ad allora stati sprecati e buttati via: l’acqua era così preziosissima e ancor di più lo era il carbonio di cui tanto i terrestri che i grovelliani erano fatti: e così, per sopravvivere a quella crisi, non c’era altro da fare che, dopo quattro miliardi di anni, terminare quel gigantesco esperimento e recuperare i preziosissimi elementi dal pianeta disintegrato. Eppure, per Zig non aveva senso distruggere anche il quarto pianeta di quel sistema: e avendo assimilato, in quegli anni, il linguaggio principale della Terra, si era sentito di spiegare a quelle entità inferiori, ma che nelle sue opinioni personali erano vagamente senzienti, ciò che avevano fatto. L’avrebbe pagata cara, quell’uscita dagli schemi che si era concesso: ma quello che non rischiava più di tanto, e piuttosto gli dispiaceva di più per quegli esseri che, pur essendo solo dei fantocci vuoti senz’anima, erano comunque una forma di vita in qualche modo affascinante; se non fosse stato per la crisi sarebbero stati da proteggere, come una specie rara. Eppure non si poteva fare altrimenti, purtroppo. Zig chiuse il calcolatore della sua postazione e si mise sulla via della plancia, per andare da Baton; proprio in quel momento, la nave si staccò dall’orbita solare, e saltò di nuovo nell’iperspazio con il suo prezioso carico di carbonio e d’acqua. Come essa, tutte altre le navi grovelliane, coordinate al microsecondo, sparirono dai cieli di quello che un tempo era stato Marte. Della Terra non rimaneva più nulla, nemmeno il ricordo.

venerdì 9 dicembre 2011

Esistenza Negativa I - Il passato

Sto lavorando a diversi racconti, e spero di postarne uno entro la fine dell'anno. Intanto però, oltre a quei progetti ne ho un altro, ossia un poema dal titolo, appunto, "Esistenza Negativa", decisamente più lungo delle mie solite poesie. Io lo chiamo, in contrapposizione ai poemi epici, un poema patetico, nel senso originario del termine, che deriva da pathos, ossia sofferenza. Il poema come lo ho pianificato ha quattro canti, questa qui è solo il primo, mentre gli altri li posterò man mano che li finisco (ma gli ultimi due sono ancora in alto mare). Nient'altro, se non spero che questo lungo poema possa piacervi.

Primo canto - il passato

Davanti ad un bianco
Schermo di computer me ne sto
E pesco perle di dolore
Dal profondo della mia anima
Per farne un poema non epico
Ma alquanto patetico invero.

Sono stanco, oh certo
Molto stanco e anche stufo
Di questa dura vita di dolor
Che non riesco a controllare
Come vorrei, né mai
Ci sono veramente riuscito

E per questo me ne sto solo
Come sempre senza nessuno
In un angolo della mia camera
A vegetare tristemente
Senza senso , sol col computer,
E a ricordare il tempo andato.

Una vita certo eroica
E’ stata la mia, in passato
Tanti anni epici, sicuro,
Ho vissuto, anche se mai
L’amor, mio sogno più grande
Si avverò davvero;

Anzi, da quel punto di vista
Due gigantesche delusioni
Ho avuto, da due persone
Amate da me profondamente
Che in un modo o nell’altro
Non mi hanno ricambiato.

La prima, quando sol quindici
Anni avevo, e la sfortuna
O forse il fato, chi lo sa,
Mi fece innamorare di colei
Che era la mia migliore amica
Come spesso succede:

Ma lei solo come amico
Mi vedeva, e chissà cosa
Avrà pensato di me;
Fatto sta che mi ha abbandonato
A me stesso, da un dì all’altro
Lasciandomi triste e rabbioso

E per anni, ed anni ancora
Mi trascinai col male addosso
Camminando le strade della vita
Con sommo scoramento, solo
E tanta rabbia dentro di me
Verso il mondo tutto

Certo, scoprii così un amor nuovo,
Quello per il prezioso metallo,
La musica del mio cuore
Che mai mi abbandona;
Ma anch’esso non poteva riempir
Il buco che ho nell’anima

Ma il tempo passava
E io pensavo che, col tempo,
Il male sarebbe scomparso;
E arrivai a credere che il dolore
Era ormai lontano da me,
Che folle son stato, santo cielo!

Così per compensare
Il vuoto che sentivo dentro
Dopo tanto tempo da quando
Il cor mio fu spezzato
Andai ancora alla ricerca
Di una nuova esperienza

La seconda volta, così arrivo,
Come l’altra volta questa,
Cominciai a provare di più
Che il solo affetto
Per la mia migliore amica:
E riuscii a conquistarla, stavolta

All’inizio fu così un idillio
Una relazione perfetta;
Sembrava sì solida
Da poter durare per sempre
Ma era solo un’illusione,
Un inganno da parte sua.

Per queste ragioni deleterie
Che nemmen voglio rimembrar
Anche questa storia finì
Un caldo giorno di luglio
Lasciandomi ancora peggio
Di quanto io sia mai stato

E mi ricoverarono
In una specie di manicomio
Dove rimasi due settimane
Poi uscii, ma non per questo
Mi sentii meno folle,
Al contrario, ero impazzito.

E ancor oggi mi sento pazzo
Di dolore e di sofferenza
Che non vanno via mai,
E non lasciano una volta in pace
Questa mia anima devastata
Dal peso della solitudine.

Poi ripenso ancor al passato
E rivedo tante altre
Delusioni cocenti
Da persone che conobbi
E che in un modo o nell’altro
Mi han tradito inevitabilmente

Tanti uomini e donne
A cui ho dato fiducia
E che mi hanno usato
Come uno straccio vecchio
Che hanno buttato
Quando più non servivo.

E la mia anima si è
Così ferita sempre più
Tanto da preferir quasi
Quest’orrida solitudine;
E così ho sofferto tanto
Dalla nascita fin’ora.

lunedì 5 dicembre 2011

La secessione immotivata

E' con il massimo disprezzo che scrivo queste poche parole, ma sono rimasto quasi disgustato di quello che ho sentito in questi giorni al telegiornale. C'è una grande crisi, questo lo sappiamo tutti: ma un popolo, in queste circostanze, dovrebbe rimanere unito e combattere contro i tanti mali che (almeno qui da noi, in Italia) l'affliggono. Quello che alcune organizzazioni (in testa la Lega Nord) stanno facendo, blaterando insensatezze quali la secessione consensuale "sul modello della Cecoslovacchia" e altre fandonie del genere, è perciò assolutamente stupido e controproducente. Anche se divisi da dialetti e da abitudini, noi Italiani siamo comunque un popolo, che ci piaccia o meno, e come popolo dobbiamo comportarci; chi invece parla di dividerci, deve aprire gli occhi e vedere qual'è la realtà, perché la realtà è ben diversa dai vaneggiamenti idioti della Lega.

venerdì 2 dicembre 2011

Insonnia V

Dopo delle brutte esperienze (che per fortuna sono terminate oggi, ufficialmente) con il sonno, mi sono sentito di scrivere una breve poesia sul mio stato d'animo di ieri, nonché l'ennesima poesia sull'insonnia, la quinta della serie. E' la mia solita poesia triste, spero che vi piaccia.

Insonnia V

In questo limbo
Dove il guardo di dio
Alcun si è mai posato,
Me ne sto tristemente
Con gli occhi aperti.

Dormir non mi sovviene,
Ed è invero difficilissimo
Star sveglio così dopo
L’ennesima, ultima, notte
Passata senza sonno.

E così sono inebetito
Non riuscendo a far niente
Se non far passare
Il tempo lentamente
E provar la noia più grande.