martedì 6 maggio 2014

Giorni di gloria

In queste ultime settimane, ho avuto così tanto da fare per la gelateria che non ho avuto molto tempo per fare altro: ecco perché ho latitato, anche e soprattutto qui, su queste pagine. Come vi avevo promesso, però, avrei comunque postato un nuovo racconto e adesso il momento è giunto: eccolo qui a voi. Anche questo racconto è stato scritto per un contest in un forum, come tanti altri, anche se rispetto agli ultimi è più lungo; è inoltre un racconto abbastanza classico per il mio genere di scrittura. Senza anticiparvi di più, vi lascio direttamente al racconto, con l'unica speranza che vi piaccia!

Giorni di gloria

“Oggi sarà il mio giorno di gloria” pensò Odan Orius, guardando il suo gemello Todan quasi con sfida mentre il gruppo di caccia avanzava lungo la strada. Erano nati nello stesso momento, loro due, ma non potevano essere più diversi: tanto suo fratello era alto e di bell’aspetto, quanto lui era basso e brutto. A causargli i problemi maggiori però era come ciò si ripercuoteva nel rapporto con la sua famiglia: mentre Todan era stimato, tanto da esser stato portato a cacciare già a quindici anni, Odan veniva sempre per secondo, ed aveva dovuto aspettare la maturità per poterlo fare. Il giorno che aveva tanto atteso era però arrivato: si era per la prima volta unito al gruppo di caccia capeggiato da suo padre Wodan.
“Ti dimostrerò che sono io il migliore, padre, nonostante tutto” si disse tra se il giovane, prima di tornare a concentrarsi sulla strada.

Dopo un’ora di cammino, il gruppo si fermò. Si trovavano al limitare di un bosco di bassi alberi e davanti a loro si apriva una vasta pianura erbosa, dove un ampio branco di Ensen pascolava placidamente insieme a qualche grosso Rinok.
«Quello laggiù andrà benissimo.» disse Wodan Orius, indicando un piccolo Ensen dall’aspetto malaticcio. Odan capì subito che la scelta era stata fatta per favorirlo: se non fosse stato il suo esordio come cacciatore, forse ne avrebbero attaccato uno più grande, o avrebbero addirittura affrontato il rischio delle corna del Rinok; stavolta non contava la quantità di carne, ma solo fargli fare esperienza.
“Dimostrerò il mio valore anche se la preda è facile” si esaltò il giovane, mentre il gruppo, acquattato nell’erba alta, si avvicinava di soppiatto. Erano quasi nelle vicinanze della preda scelta, quando dal bosco alle loro spalle venne un forte rumore, come di un grosso ramo che si spezzava. Gli Ansen alzarono la testa, ed in un attimo si misero a correre, mentre dall’intrico degli alberi, ruggendo, si precipitava fuori un Drago di Terra, la bocca aperta che lasciava vedere i terribili denti.
«Via! Via!» gridò Wodan Orius a pieni polmoni, e in un attimo il gruppo di caccia si disperse in tutte le direzioni; Odan tuttavia rimase in piedi immobile dov’era, spinto da una forza arcana dentro se, venuta da chissà dove. Il Drago lo avvistò, e subito cominciò ad avvicinarsi con fare minaccioso: in brevissimo, gli fu addosso.
“Ora!” pensò il giovane, e si mosse fulmineo proprio un attimo prima che le fauci si chiudessero dove si trovava; quindi, con un repentino scatto, si volse all’indietro, scagliando una freccia dritta nell’occhio del mostro. Il Drago ululò rialzando la testa, poi si girò, cercando di inquadrare il suo nemico con l’unico occhio rimastogli.
“Proprio ciò che volevo!” pensò Odan lasciando partire la seconda freccia, che ancora colpì in pieno l’obiettivo, facendolo nuovamente ruggire di dolore.
«Ehi, enorme idiota! Sono qui, perché non vieni a prendermi!» gridò il giovane al gigantesco animale accecato, che subito si buttò rabbiosamente al suo inseguimento, seguendo la voce che continuava a stuzzicarlo. Odan lo condusse fino al limitare della foresta, dove cominciò a zigzagare tra gli alberi; in breve, il Drago si scontrò contro un tronco, e cadde a terra pesantemente. Il giovane gli fu allora subito sopra, e lo colpì violentemente con l’ascia alla gola ed alla testa, ferendolo finché non smise di muoversi: solo allora uscì dalla sorta di trance in cui era piombato, e la prima cosa che udì furono le urla entusiaste dei suoi compagni, che tutto attorno lo applaudivano ed acclamavano con vigore.
“Ora non sarò più secondo né a Todan né a nessun’altro” pensò il giovane, esultante.

Il gruppo tornò al villaggio proprio mentre il Sole tramontava dietro la montagna sovrastante. Quando la gente vide la testa del Drago caricata su uno dei carri, lo stupore fu grande: la notizia si diffuse rapidamente, e la piazza dove la carovana si era fermata si riempì velocemente di una folla festante.
«Silenzio, stolti! » fece ad un tratto una voce, tanto alta da sovrastare il vociare. Il silenzio calò, mentre Tharen Gomier, lo sciamano del villaggio, avanzava, esprimendosi ancora a voce alta:
«La cattura di questo Drago è un sacrilegio nei confronti degli dei, e voi non dovreste celebrarla! Tornate alle vostre case, se non volete che la morte cali su di voi stasera stessa!»
“Non hai mai azzeccato una profezia in vita tua, come pretendi che ti crediamo?” pensò Odan, imitato dai suoi concittadini che cominciarono a ridere ed a sbeffeggiare lo stregone a gran voce.
«Fate come volete!» urlò Gomier arrabbiato, abbandonando la piazza. La festa proseguì ancora a lungo nonostante il freddo sopraggiunto col tramonto, facendosi sempre più animata e rumorosa. La carne del Drago era cotta, ed Odan stava per prenderne la prima fetta, quando sentì un lieve rumore sopra di se.
“Cos’è?” si chiese, ma guardandosi attorno vide che nessuno se ne era accorto.
“Me lo sarò immaginato” pensò, ma dopo qualche secondo né avverti un altro. Ne arrivò poi un altro ancora, sempre più forte finché un possente schianto zittì la folla, che si volse allora a guardare verso l’alto, proprio dove la montagna aveva improvvisamente cominciato a precipitare a valle. Per un momento il tempo sembrò fermarsi, poi il panico colse la gente, che cominciò a fuggire in tutte le direzioni; Odan tuttavia rimase fermo.
“E’ troppo veloce, scappare è inutile” realizzò, mentre per la paura le piume gli si arruffavano dalla testa alla punta della coda; poi il fronte della frana lo raggiunse, ed il suo mondo sprofondò nell’oblio.

“Oggi sarà il mio giorno di gloria” pensò il paleontologo Malcolm Yard guardando la folla di giornalisti raccolta nella sala conferenze. Erano tutti lì per lui, per quella sua scoperta epocale che avrebbe rivoluzionato totalmente la visione umana della storia del mondo.
“Altro che l’Archaeopteryx!” si disse compiaciuto, proprio mentre il suo collega Kyle Jansen concludeva il suo intervento introduttivo:
«… senza ulteriore indugio, passo quindi la parola allo scopritore. Signore e signori, il professor Malcolm Yard!»
Il paleontologo si alzò, e dopo che il breve applauso fu terminato, attaccò col discorso:
«Grazie mille, Kyle. La maggior parte delle persone tende a pensare ai dinosauri come ai grandi e mansueti giganti erbivori e ai letali carnivori, grandi come il Tirannosauro o piccoli come i Velociraptor che siano; in realtà però questo gruppo di rettili presentava una grande varietà di forme. Una di queste, sconosciuta se non ad esperti ed appassionati, era il Troodon, un piccolo dinosauro carnivoro parente dei Raptor, anche se rispetto a questi ultimi presentava una struttura fisica più particolare: possedeva mani parzialmente prensili, occhi posizionati frontalmente e soprattutto una scatola cranica molto grande in proporzione. Per queste sue caratteristiche, sono stati molti nella storia i paleontologi che hanno fantasticato sul Troodon, immaginando che una sua possibile evoluzione potesse diventare qualcosa di simile ad un “rettile umanoide”; era questo tuttavia più un gioco intellettuale che altro, anche perché di questa evoluzione non era mai stata trovata nessuna prova. O almeno, ciò era vero fin’ora: il mio team ha infatti scoperto, nel corso dei tre anni di scavi intrapresi nei dintorni di Belt, Montana, una nuova specie di dinosauro, che abbiamo battezzato “Homodon”. E’ un evoluzione del Troodon che ne presenta intatte alcune caratteristiche, come la lunga coda e le poderose zampe posteriori, ma ne ha altre ancor più vicine all’Homo Sapiens, come le mani del tutto simili alle nostre, se si eccettuano gli artigli appuntiti, un muso più schiacciato ed una capacità cranica praticamente pari alla nostra. Già di per se, questa scoperta sarebbe di grandissimo spessore, ma c’è un particolare che la porta ad un livello superiore: insieme a vari esemplari della specie abbiamo infatti rinvenuto questo.»
Il paleontologo prese un telecomandino e schiacciò un pulsante: le luci si abbassarono, e subito dopo sullo schermo bianco alle sue spalle comparve un’immagine. Un intenso brusio invase la sala per alcuni secondi, poi Yard riprese:
«Ebbene si, è proprio ciò che sembra: gli scheletri fossili sono sparsi tra i resti di un vero e proprio insediamento. Eravamo scettici anche noi, in principio, sul fatto che l’abitato fosse correlato proprio coi dinosauri, ma la datazione con gli isotopi radioattivi non mente, e la verifica incrociata con etnologi, storici e paleoantropologi ci ha confermato che questo tipo di costruzioni non appartiene né agli indiani né tantomeno a qualsiasi altra cultura nota. Insomma, non è una burla e non è un’improbabile sovrapposizione di strati geologici: gli Homodon avevano una civiltà, forse primitiva ma pur sempre una civiltà, il che cambia per sempre la nostra concezione dell’unicità umana. Ad ogni modo, era una società di cacciatori-raccoglitori, avevano probabilmente una lingua ed erano sufficientemente intelligenti da adottare strategie di caccia complesse: insieme ai loro resti abbiamo trovato difatti addirittura quelli smembrati di un Tirannosauro. Questa è, insomma, la prima civiltà aliena a quella umana, ed il bello è che non l’abbiamo trovata su qualche pianeta lontano ma proprio qui, sulla Terra: è proprio questa l’eccezionalità della scoperta. Detto questo, passerei a parlare dei dettagli di quanto rinvenuto, ma se avete qualche domanda, preferirei prima ascoltarla.»
Molte mani si levarono nell’aria, e un fitto vociare riempì la sala.
“Ho proprio colto nel segno!” gioì tra se Yard mentre cominciava a rispondere, senza rendersi conto che una delle sue affermazioni non era corretta. Nessuno avrebbe mai saputo che il Tirannosauro, o meglio il Drago di Terra, era stato ucciso da Odan l’Homodon, nessuno avrebbe conosciuto la sua impresa solitaria: ma per lui era lo stesso giunto un secondo giorno di gloria, come parte di una scoperta fondamentale di un’altra razza intelligente, vissuta ben sessantacinque milioni di anni dopo.

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