martedì 31 marzo 2015

"Straniero in terra straniera" di Robert A. Heinlein

Come appassionato di fantascienza, ho sempre avuto un ottimo rapporto "letterario" con Robert A. Heinlein: in passato ho adorato libri come "Starship troopers" o come "I figli di Matusalemme", che ritengo tra i migliori prodotti nel loro genere. Quando, di recente, mi è capitato di trovare "Straniero in terra straniera", per giunta nella versione integrale, così come scritta di suo pugno dall'autore, non ci ho pensato più di due secondi prima di farla mia. Nel mese e mezzo passato, pur avendo avuto pochissimo tempo libero, mi sono comunque dedicato a questo tomo di oltre settecento pagine, ma stavolta non sono rimasto soddisfatto come le altre volte: vediamo perché.

Come sempre, prima qualche linea di trama (spoiler da qui, come sempre): il protagonista del romanzo, Valentine Michael Smith, è una sorta di Mowgli o di Tarzan della fantascienza. Morti i suoi genitori durante la prima spedizione umana su Marte, egli è stato allevato dai marziani; solo in seguito sarà riportato sulla Terra. Inizialmente spaesato ed anche sopraffatto dalla più forte gravità terrestre, il giovane gradualmente tenterà di afferrare (o meglio di "grokkare", verbo con un ampio stuolo di significati in marziano, tra cui "pensare" e "comprendere") i principi della società umana. Dopo diverse peripezie e con l'aiuto di vari comprimari (tra cui l'infermiera Gillian Boardman e soprattutto il memorabile scrittore Jubal Harshaw) il giovane "uomo di marte" riuscirà infine a capire l'umanità: a quel punto, cercando di portare la propria razza di appartenenza ad un livello superiore, fonderà la "Chiesa di Tutti i Mondi", un associazione in cui si pratica l'amore libero ed in cui si insegna la lingua marziana, fondamentale per acquisire i poteri psichici e telecinetici di cui lo stesso Smith è dotato. Il romanzo finirà con l'assalto alla chiesa ed il martirio del suo fondatore, ma ormai la setta è abbastanza larga da auto-sostenersi: è solo questione di tempo prima che essa si diffonda e renda la Terra potente ed autocosciente quanto lo stesso Marte. (fine spoiler)

Le premesse per creare un libro affascinante ed interessante c'erano tutte, ed infatti fino a circa metà il libro risulta avvincente e con la giusta tempistica. Il problema però è che la seconda parte decade abbastanza, con una deriva in senso spiritualista che alla fine ci può anche stare, ma che personalmente ho trovato per certi versi piuttosto irritante. Il difetto principale in tal senso è a mio avviso il fatto che il libro è invecchiato abbastanza male, dal 1961 in cui è stato scritto: l'unione tra spiritualità ed amore libero è piuttosto ingenua, come credo sia ingenuo la scelta di termini per descrivere il secondo, che risente comunque della morale piuttosto castigata dell'epoca, senza mai andare sopra le righe. Non aiuta inoltre alla resa del tutto la presenza di divagazioni piuttosto inconcludenti ed inutili al fine della trama, che seppur in parte presenti anche nella prima parte, senza peraltro appesantirla, si fanno pervasive nella seconda, stavolta rendendo il tutto un po' troppo prolisso per i miei gusti. Fanno eccezioni a ciò quei brevi intermezzi in cui Heinlein lascia andare la seriosità per abbracciare un'ironia forte ed intelligente, piacevoli anche se stonano un po' col resto, il che da una parte fa chiedere se il libro non sarebbe riuscito meglio se fosse stato tutto su questi toni, ma dall'altra mette in mostra le qualità dello scrittore, che restano indiscusse (e che si evidenziano anche nello stile, per esempio, visto che il libro è scorrevolissimo e ben poco difficile da leggere).

Straniero in terra straniera è un libro valido e piacevole, anche se, secondo la mia modesta opinione, non è tra i più riusciti di Robert Heinlein. Concedergli una lettura per me è buona cosa, anche e soprattutto in quanto classico della letteratura di fantascienza, ma credo che se cercate un capolavoro del genere dovete guardare altrove (anche nella carriera dello scrittore americano): siamo qui infatti su livelli solo buoni, a mio avviso.

martedì 24 marzo 2015

Il vero segreto del successo online

E' più di un anno che seguo My Social Web, blog gestito da Riccardo Esposito dedicato al webwriting ed al marketing online, ossia in pratica: come scrivere un buon blog e come farlo arrivare al successo. Grazie ai suoi post giornalieri ho imparato parecchio su come poter dare più visibilità ai miei contenuti online, ed in parte ne ho anche potuto beneficiare, specialmente per quanto riguarda Heavy Metal Heaven, che infatti è un po' cresciuto proprio grazie agli accorgimenti che ho messo in atto. D'altra parte, però, né con questo sito né con altri miei progetti sono mai riuscito, almeno fin'ora, a decollare troppo: i meno di trecento like della mia già citata webzine metal, risultato migliore della mia attività online, la dicono abbastanza lunga in proposito, per non parlare poi di condivisioni sui social e commenti, da quelle parti c'è solo l'iconico cespuglio rotolante del deserto. Com'è possibile quindi che pur applicando tutti quei consigli non sono arrivato praticamente da nessuna parte? Sono così scadenti i suggerimenti di My Social Web?

Secondo me così non è, se non altro perché in qualche sparuto caso essi hanno funzionato, come già detto. Io credo che dal punto di vista tecnico i consigli di Esposito siano anzi ineccepibili; credo tuttavia che seguire tutte le regole del gioco da solo non sia sufficiente, ci vuole qualcos'altro per riuscire ad avere veramente successo, che né lui né tanto meno gli altri blogger che parlano di strategie online, competenti o meno, hanno mai individuato. Si, ma cosa? Dando un'occhiata a tante realtà online, sono giunto a pensare che la cosa fondamentale, forse la più importante di tutti, per un blogger, sia la capacita sociale, ovvero l'abilità nei rapporti con i propri fan e soprattutto la facilità con cui si fanno amicizie. Se i vari consigli sul marketing online non ci ho messo poi molto ad impararli ed a metterli in pratica, come ho già scritto più volte sulle pagine di Hand of Doom non sono mai stato bravo a farmi amici. In parte sarà sicuramente colpa della mia timidezza estrema, in parte è invece causato da qualcosa che mi sfugge. Quali che siano i motivi, però, fatto sta che le persone che ritengo davvero amiche siano giusto un paio; per il resto pur provando a fare amicizia con gli altri, in special modo con blogger che stimo, fin'ora i risultati sono stati piuttosto scarsi, per non dire nulli. E', io credo, proprio questo uno dei motivi principali per cui, nonostante nell'ultimo periodo mi sia applicato moltissimo, non ho avuto un grande ritorno di pubblico, sicuramente meno anche di quei blogger che a mio avviso hanno contenuti molto più scadenti dei miei.

Certo, ci possono essere altri motivi per il mio insuccesso, come per esempio il fatto che, nonostante i miei sforzi, i miei post possono non risultare interessanti per i fan; vista tuttavia la cura che ci metto credo che almeno qualche mio lavoro dovrebbe, se non altro, stuzzicare la fantasia delle persone (cosa peraltro di cui ogni tanto ho avuto alcune conferme indirette). Questo mio difetto si sta rivelando insomma deleterio, ed ho paura che possa pregiudicare seriamente i miei sogni, compreso quello di diventare uno scrittore affermato. Non per questo mi arrenderò, ed anzi spero che una volta pubblicato il mio primo romanzo (che è attualmente in fase relativamente avanzata - ma non voglio dire di più finché non sarà molto più avanti), qualcosa cambierà nella stima degli altri, anche perché ho in mente di affidarmi ad agenzie di marketing che spero riescano a colmare la mia gigantesca lacuna. La speranza rimane sempre, ma io credo che finché non riuscirò a capire dov'è che sbaglio, e finché non riuscirò anch'io a farmi amici nel mondo del blogging, non andrò molto lontano. Oppure no, che ne dite?

sabato 21 marzo 2015

Restyling di primavera.

Oggi è l'equinozio, primo giorno della stagione primaverile: in molti proprio in questo periodo stanno facendo le "pulizie di primavera". Questo breve post, fuori dalla solita cadenza settimanale, è per annunciare che , a livello bloggistico, ho deciso di far anche io. Per rendere Hand of Doom più semplice e fruibile ho deciso infatti di cambiare leggermente il suo layout. La differenza principale, lo avrete notato, è la barra qui sopra, in cui ho messo informazioni utili e più semplici da sfogliare, in cui ho aggiunto inoltre diverse funzioni. Spero proprio che così, e che nel tempo questo blog possa piacere sempre di più!

martedì 17 marzo 2015

Scrivere: una questione seria

L'Italia è un paese assurdo anche per quanto riguarda la letteratura: nonostante ci siano pochi lettori ed ancor meno lettori "forti", sempre più persone si scoprono invece scrittori, e grazie alla nuova risorsa dell'auto-pubblicazione, fornita per esempio da Amazon, hanno persino la possibilità di vedere il loro romanzo pubblicato. Risultato di ciò è l'uscita di un gran numero di libri davvero scadenti, scritti male e con trame infantili. Questo, all'osso, è il contenuto del bel post pubblicato la scorsa settimana da Lucia Patrizi nel suo blog "Il Giorno degli Zombi". Partendo dalle sue argomentazioni, che condivido assolutamente, le mie riflessioni mi hanno portato alla conclusione che il motivo principale di questa situazione sia la concezione stessa della scrittura nella cultura dell'italiano medio: il pensiero più diffuso è infatti che scrivere un libro in fondo non sia altro che mettere una parola dietro l'altra, senza dover far altro che, appunto, scrivere (la lingua italiana qui purtroppo non è d'aiuto). Questo è, a mio modo di vedere, un fraintendimento atroce: chiunque abbia almeno un po' di abilità nello scrivere, difatti, sa che ogni testo, di qualsiasi tipo esso sia, richiede sempre un impegno forte, specialmente se si parla di narrativa.

Personalmente, credo che per essere tale, uno scrittore di narrativa decente debba possedere almeno cinque caratteristiche fondamentali:
  • Tecnica di scrittura: non si limita solo alla padronanza assoluta della grammatica ed a un lessico il più ampio possibile (cosa che già molti scrittori improvvisati non posseggono, peraltro), ma comprende anche uno stuolo di regole che servono a rendere la scrittura meno ridondante e più piacevole, come per esempio il "mostrare invece che raccontare" oppure la costruzione di frasi il più possibile semplici e scorrevoli, senza termini troppo lunghi o che "suonano male". E' un'abilità che forse giusto qualche genio assoluto possiede di natura, tutti gli altri non possono fare altro che mettersi a studiare fino ad applicare le regole più basilari senza nemmeno pensarci.
  • Senso logico/critico spiccato: non significa nient'altro se non affrontare il proprio testo non come la parola divina scesa in terra, ma come un qualcosa di difettoso, su cui bisogna porsi infinite domande e correggere ogni particolare, fino a rendere il tutto curato nei minimi dettagli. Questo è estremamente utile per moltissime cose, dalla costruzione dei personaggi a quella dei vari passaggi della trama,. Esserne sprovvisti non è possibile per uno scrittore che non vuole essere preso di mira dai lettori più esigenti, visto che la mancanza genera situazioni non realistiche e personaggi assolutamente stereotipati o che fanno scelte altamente illogiche ed assurde, rendendo la trama più degna di una fan-fiction da bambine che sognano gli One Direction che di un libro davvero degno di essere letto. 
  • Conoscenza ampia della materia di cui scrive: è meglio sapere tutto (o quasi) a proposito di ciò che si scrive, o se così non è occorre compiere un lavoro approfondito di documentazione, altrimenti il risultato sono libri che contengono castronerie a dir poco fastidiose. Un esempio può essere l'ambientazione: bisognerebbe sempre sceglierne una che si conosce a occhi chiusi, ma sempre più spesso invece escono titoli di autori italiani hanno personaggi dalla mentalità e dal comportamento tipicamente italiani ma che si chiamano John o Mary, che si muovono in un ambiente dalle caratteristiche italiane (sistema scolastico e sanitario, modi di pensare, ecc) ma che invece vengono spacciati per New York o Los Angeles, il che rende questi libri ancor più scadenti di quanto non siano altrimenti.
  • Cultura ampia nel proprio ambito: questa regola è più o meno un corollario della precedente (o viceversa), e consiste nel conoscere almeno con buon approfondimento il genere letterario di cui si scrive (il che ovviamente significa anche "leggere tanto"). Ogni genere ha infatti sue caratteristiche peculiari, come il ritmo con cui la scrittura procede, e se si vuole intraprenderlo con successo bisogna conoscere questi trucchi del mestiere. Per fare un esempio, io non potrei mai scrivere un romanzo o un racconto giallo, e ciò per il motivo che non amo molto il genere, non lo leggo abitualmente, perciò non saprei proprio come gestirlo; guarda caso, invece, la maggior parte dei miei racconti sono di fantascienza perché amo leggere particolarmente il genere, ed ovviamente nel tempo mi sono fatto una discreta cultura in materia
  • Esperienza: se le altre quattro possono essere più o meno apprese seguendo dei corsi di scrittura creativa, dall'applicarsi poi a scrivere ed a migliorarsi non si scappa, è obbligatorio farlo almeno per qualche anno. Per scrivere bene la gavetta è infatti indispensabile, cominciando magari dai racconti e poi facendoli leggere, preferibilmente anche a persone non amiche. Le critiche positive, ma soprattutto quelle negative, sono infatti un grandissimo aiuto per crescere, ed è molto importante accoglierle senza resistenze, anche a costo di soffrirne. Così ho fatto io, ed ecco che dai primissimi racconti che trovate sul blog, che oggettivamente sono orrendi e che infrangono tutte le regole enunciate sopra, sono arrivato con l'esperienza a scrivere cose che, almeno a mio avviso, sono decenti, seppur io abbia la consapevolezza di poter ancora migliorare, in futuro.
Essere uno scrittore nel campo della narrativa insomma è tutt'altro che un'impresa alla portata di chiunque: oltre ad un pizzico di talento naturale, ci vuole tantissimo tempo e tantissima costanza per imparare a farlo, nonché forza di volontà per poi proseguire: se si arriva infatti ad un livello decente si diventa automaticamente incerti sulle proprie capacità, per la regola psicologica (ha anche un nome, anche se al momento mi sfugge) che la competenza genera il dubbio, mentre l'incompetenza genera sicurezza. Ma, proprio a causa di ciò, lo "imbrattatore di carta/foglio word" italiano non si accorge di quanto lavoro serva per scrivere qualcosa di decente, ed il risultato è appunto l'uscita di tanti libri di infimo livello.

Certo, come sempre accade in questi fenomeni, la colpa dell'esplosione della scarsa letteratura non è solo da addebitare a chi la spazzatura la produce, ma anche a chi, non essendo in grado di riconoscerla e stroncarla, fornisce l'incoraggiamento per produrre altra spazzatura agli autori inconsapevoli della propria mediocrità, ed ai grandi editori a specializzarsi quasi esclusivamente nella pubblicazione di tale spazzatura (tattica che peraltro si sta rivelando suicida, ma questo è un argomento più ampio e ne parleremo magari in un altro post, più avanti). Tuttavia, in questo caso a mio avviso i due atteggiamenti sono facce di una stessa medaglia, quella dell'idea secondo cui la letteratura non è qualcosa di serio, e né leggere né scrivere debbano essere un'impegno, quando la realtà è, come già detto, totalmente opposta. Ma, del resto, è questa solo un'altra espressione della cultura devastata ed infima dell'italiano medio, che ci volete fare?

martedì 10 marzo 2015

Socrate ed i blogger

In molti dei miei post, ci tengo spesso a sottolineare come le mie opinioni siano in fondo quelle di un profano, che certo non si ritiene un esperto o un'autorità di ciò che sta parlando. Un esempio di questo sono le mini-recensioni di libri o film: vogliono essere semplicemente un modo per far conoscere i miei personali pensieri su questa o quell'opera, di sicuro non rappresentano consigli di un esperto. Un po' di più mi sento a mio agio per quanto riguarda l'heavy metal (ed infatti il mio sito di gran lunga più professionale è Heavy Metal Heaven), ma nemmeno lì ho l'ambizione di essere il più grande critico del mondo o di conoscere qualasiasi gruppo sia mai esistito. Inoltre, è sottinteso che i miei voti sono sempre e comunque del tutto opinabili, se non altro perché ogni recensione, da chiunque possa essere scritta, per quanto dettagliata e giustificata, non può che essere comunque l'espressione di sensazioni assolutamente soggettive del suo autore, che è impossibile siano condivise da tutti indiscriminatamente.

Purtroppo, questa mia mentalità è ben poco condivisa, sia in internet in generale che, in particolare, nella blogosfera italiana. Locuzioni come "secondo me" o "non sono sicuro" sono infatti molto poco diffuse, la maggior parte delle persone esprime le proprie opinioni sempre in senso categorico. Ciò può anche aver un senso se si ha la giusta competenza nel parlare di materie scientifiche o di qualche altro ambito tecnico/specifico del sapere, ma diventa, specie se spinto all'eccesso, qualcosa non solo di poco accettabile ma anche di fastidioso, specie se l'argomento ricade all'interno delle cosiddette "materie umanistiche". Personalmente, non riesco infatti proprio a capire per quale motivo la maggior parte delle persone voglia passare per "massimo esperto" di qualcosa, arrivando a volte a fare figure barbine, spinta quasi dalla paura di ammettere di non essere ferrati in determinate materie, cosa che mi pare quasi ridicola. In un mondo così complesso come il nostro, è inevitabile infatti essere ignoranti nella stragrande maggioranza dei rami della conoscenza umana, che per essere appresi tutti quanti insieme occorrerebbero decine di vite umane messe insieme. Eppure ognuno sembra in difficoltà ad ammetterlo, preferendo comportarsi manco fosse davvero la persona più erudita del mondo. Mah...

Per carità, poi, in fondo ognuno può fare quello che vuole nel proprio spazio internettiano, sui social network come nei blog: tuttavia, a mio avviso sarebbe piacevole leggere più spesso persone che non pretendono di essere dio sceso in terra, persone che come Socrate ammettano ogni tanto che"io so di non sapere" e si dimostrino un po' meno aggressivamente convinte di sé e più dubbiose. Sarà poi tanto difficile, alla fine? A me personalmente non sembra, ma probabilmente il fatto che internet sia come lo conosciamo già di per se mi dà torto.

martedì 3 marzo 2015

Stupidi pensieri di chiusura - seconda parte

Vi ricordate il post di un mese fa esatto, relativo ai pensieri che avevo sulla chiusura di Heavy Metal Heaven? Ebbene, nelle ultime settimane sono arrivato ancor più vicino alla decisione di chiuderlo e non più con la tranquillità precedente, proprio sbattendo una metaforica porta. Il motivo? Non solo il
già menzionato fatto che mi toglie tempo per le cose importanti, cosa in fondo risolvibile sottraendo a mia volta tempo alle distrazioni inutili (tipo Facebook) e concentrandomi più a lungo sul sito, ma anche e soprattutto l'atteggiamento che molte persone dell'ambiente musicale dimostrano nei miei confronti.

Se non siete pratici di come funzioni una webzine, vi spiego almeno come gestisco la mia: le recensioni che scrivo, vero cuore del sito (le notizie infatti sono di contorno, servono solo a riempire i tempi morti, nella mia visione) si dividono tra quelle che decido io, di dischi che ho a casa solitamente, e quelle invece richieste dai gruppi via mail. Mettiamo bene in chiaro un paio di cose, a questo punto:
  • scrivere una recensione, specialmente se approfondita come le mie, richiede moltissimo tempo per le decine di ascolti che mi servono ad assorbire un disco, e poi lo sforzo finale per essere messe nere su bianco; entrambi queste fasi, checché ne possa dire chiunque, costituiscono un vero e proprio lavoro, che richiede impegno e dedizione in gran quantità. 
  • Nessuno mi paga nemmeno un centesimo per queste recensioni, il che dal mio punto di vista è del resto assolutamente giusto: quando do un giudizio voglio infatti essere sempre onesto ed esprimere la mia opinione sincera, senza sentirmi condizionato da niente e da nessuno; trovo quindi che il meccanismo "soldi per una recensione" (come fanno tantissimi gruppi ed etichette) sia una pratica sbagliata e svilente, sia per chi paga che per chi viene pagato.
  • Più in generale, nessuno mi paga per svolgere quest'attività, fin'ora Heavy Metal Heaven non ha sponsorizzazioni di sorta né altre fonti di guadagno, perciò il suo bilancio è esattamente zero euro.
Riepilogando, ciò che le band fanno è richiedermi un lavoro su commissione, che però non è pagato in alcun modo: molti in questo caso parlerebbero di sfruttamento, quando non di vera e propria schiavitù (seppur ci sia da dire che gli schiavi avevano almeno vitto e alloggio, cosa che la mia webzine è ben lontana dal garantirmi). A me però non importa di questo, lo faccio più che volentieri e senza lamentarmi, per passione ed anche per la volontà di aiutare, di fare un favore a questi musicisti che sono spesso snobbati dalle grande webzine, che li sottovalutano e preferiscono dare voti alti solo ai grandi nomi internazionali del metal.

Da dove nasce il problema? Nasce quando alcuni (per fortuna non tutti), nonostante il grande favore che gli faccio, non solo non mi dimostrano gratitudine ma sputano anche sul mio lavoro. In particolare, ci sono due cose che non riesco proprio a tollerare: il primo è l'arroganza di chi non si accontenta della mano che gli tendo e vorrebbe prendersi tutto il braccio. Prima di accettare un gruppo, dovete sapere, avverto sempre che mi ci vorrà qualche mese per fare la recensione: ho bisogno di quel tempo, infatti, per riuscire a raggiungere un numero sufficientemente alto di ascolti. La maggior parte dei gruppi accetta volentieri questa condizione, ma capita anche che ci sia chi chiede tempistiche molto più strette. Può non sembrare niente di che, ma pensateci bene: io accetto di lavorare gratis per qualcuno, con gentilezza... e questo qualcuno invece di essermi riconoscente pretende anche di più da me? Dall'altra parte, posso capire che altri (specialmente le persone che lavorano nelle etichette discografiche) abbiano altre esigenze, che debbano vendere il prodotto, ma comunque non è un buon motivo per essere così arroganti con chi, come me, fa il favore di dargli una mano. Se non altro, io l'esigenza di far uscire per forza tutte le recensioni prima dell'uscita del disco non l'ho mai afferrata: una recensione sfasata di alcuni mesi non ricorderà alla gente che il disco è uscito? Non concepisco il fatto che non afferrino questo concetto, eppure in teoria di marketing dovrebbero capirne ben più di me, che ho seguito solo corsi base per la mia azienda; perché nella pratica del loro lavoro invece lasciano così tanto desiderare (e coi rapporti umani altrettanto)?

La seconda categoria, ancor più odiosa della prima,. è quella, più numerosa, dei gruppi e delle etichette che si comportano in maniera amichevole, almeno fino a quando la recensione non è online: a quel punto se ne disinteressano completamente. Niente commenti, niente like, niente condivisioni, nulla: mi ritrovo così ad aver lavorato per mesi per conto di una band che in cambio non è disposta nemmeno a perdere un minuto per condividere la propria recensione, nemmeno se è ampiamente positiva (ed anche se è contro-intuitivo, sappiate che succede più spesso con quelle con voto alto che con quelle di voto medio-basso). Questo, come potrete ben capire, è particolarmente fastidioso, un vero e proprio sputare su chi ha lavorato per te, ed ogni volta che succede ci rimango (scusate il francesismo) di merda. Sarà forse che sbaglio, che cerco di creare sempre uno spirito amichevole con le band che poi invece da parte altrui non viene percepito come tale, ma anzi forse viene preso addirittura in ostilità (chissà perché, poi...): fatto sta che mi succede pure troppo spesso. Il fatto più assurdo dell'intera faccenda è che la maggior parte delle volte ad adottare questo comportamento non sono band giovani, ai primi dischi, la cui mancanza di professionalità e di tatto può essere giustificato dall'inesperienza, no: sono spesso band più conosciute o che mi contattano tramite agenzie di public relationship o etichette, il che rende assolutamente ingiustificabile ed odioso la loro incompetenza.

Ci sono poi anche altri tipi di comportamento che sono più o meno fastidiosi (quelli degli spammer che infestano la pagina Facebook con foto e video senza manco scrivermi due righe per chiedere il permesso, per esempio), ma questi sono quelli di gran lunga più disturbanti, e negli ultimi tempi stanno divenendo sempre più pervasivi . Alla fine poi ancora non ho deciso se chiudere o meno, anche se sono più orientato in questo momento sull'andare avanti (credo sia per la mia testardaggine proverbiale), ma questo particolare del mio lavoro è comunque poco piacevole. Capisco però che sia fastidioso probabilmente anche per voi leggere queste righe (lo è davvero?), quindi vi chiedo scusa per lo sfogo.