lunedì 9 marzo 2009

Route 666

Ecco il racconto di Carmelo "Antone's", uno dei lettori del blog. E' un racconto horror come altri che ho scritto. Lo stesso Carmelo ha detto a me che gli è capitata, una volta, una cosa simile, senza che io lo sapessi, una coincidenza abbastanza strana secondo me. Comunque, spero che sia di gradimento:

Route 666

Stiracchiandosi e sbuffando, spense il computer ed iniziò i preparativi per uscire. Carmelo quel giorno non aveva fatto nulla di nulla. Era rimasto tutto il giorno a poltrire a casa sua, leggendo libri e navigando su internet. Del resto era sabato, l’università era chiusa, gli esami erano ancora a lontani e non aveva niente da fare. Quasi quasi, pensava, sarebbe rimasto a casa anche quella sera, ascoltando gli anticipi della giornata di campionato alla radio mentre continuava a dialogare nel forum on line che frequentava, quella sera non aveva proprio voglia di andare. Non era pigro di solito, ma quel giorno, chissà per quale motivo, era stato colto dalla fiacca. Non aveva importanza: al pub ci sarebbe andato lo stesso, si disse alla fine. Accortosi dell’ora, si vestì in fretta e furia con i primi vestiti che trovò, poi indossò la sua giacca di pelle da motociclista e uscì.

Percorse velocemente il solito tragitto fino al Millenium, il pub di proprietà di un suo conoscente nel quale passava abitualmente le serate in compagnia dei suoi amici. Una volta arrivato, ed entrato nel locale, si accorse che ad aspettarlo non c’era nessuno. Era arrivato molto in anticipo, avendo corso troppo per la strada pensando di essere in ritardo, così non poté far altro che sedersi al tavolo ed ordinare una birra, in attesa dell’arrivo degli altri. Aspettò parecchio tempo, dopodiché squillò il telefonino, la familiare suoneria dei messaggi. L’SMS era di un suo amico, uno di quelli con cui solitamente si intratteneva, che gli diceva che non poteva venire al pub quella sera. Poco male, pensò, ce ne erano tanti di suoi amici. Non passò però molto che tutti quanti loro si facessero sentire, chi chiamandolo, chi mandandogli un messaggio, dicendo che quella sera non sarebbero venuti. Carmelo si chiese cosa mai potesse essere successo. Non c’era alcun motivo apparente per tutte queste defezioni. Per quale motivo quindi non erano lì, allora? L’unica cosa possibile è che si erano messi d’accordo, si erano coalizzati contro di lui, per lasciarlo solo. Non aveva molto senso, in effetti non c’era alcun motivo per lasciarlo solo, non aveva fatto nulla  a nessuno di loro, eppure per lui quel ragionamento aveva una sua strana coincidenza, in quella bizzarra serata. Tutto ciò lo lasciava molto infelice, aveva quasi le lacrime agli occhi, la tristezza lo stava prendendo come una bestia che lo assaliva subdola alle spalle. Per evitare di venirne sopraffatto, pensò di affogarla nell’alcool. Ordinò una birra dietro l’altra, perdendo il conto di quanti boccali avesse ingurgitato; quando gli fu presentato il conto, ormai a mezzanotte passata, era troppo ubriaco per accorgersi il numero di birre indicato sullo scontrino, anzi fu quasi per miracolo che riuscì ad uscire ed arrivare allo scooter senza incidenti di percorso.

Passata la depressione di qualche ora prima, l’aria che gli fluiva in faccia dalla visiera del casco aperto gli dava una strana gioia incorporea, come qualcosa di magico. Il buio che veniva squarciato dal faro anteriore non lo inquietava affatto, anzi era come una nera e soffice coperta che lo riscaldava internamente, nonostante l’aria gelida di quegli ultimi giorni d’inverno. Riusciva a respirare gioia vera intorno a lui, anche se là attorno non c’era nulla, solo un rado boschetto, forse per colpa dello stordimento alcolico, non seppe dirlo in seguito. Quello che si ricordò bene fu che ad un tratto proprio davanti a lui si materializzo un puntino estremamente luminosa, come un piccolo sole, che prese ad avanzare rapidamente verso di lui. Si avvicinò fino a diventare un gigantesco disco giallo-bianco estremamente luminoso, dai contorni indefiniti. Carmelo non ne ebbe paura, ma per una giusta cautela provò ad evitarlo, deviando a destra. Ma anche provando e riprovando, la moto non cambiava direzione, e continuava ad andare contro l’oggetto luminoso, finché vi entrò dentro con un improvviso e quasi doloroso strattone.

All’interno non c’era nulla. O meglio, era come l’esterno, c’era una strada, e lui la percorreva con la sua moto, niente strane sensazioni, niente dimensioni spaziali strampalate. Tuttavia il panorama era cambiato radicalmente da prima: era giorno, e il boschetto aveva lasciato spazio ad un panorama desertico, quasi lunare, disseminato di sassi e rocce e con solo qualche cactus che punteggiava la distesa desolata e rossiccia. Anche la sua moto era cambiata, dal suo scooter Yamaha era diventata una Moto Guzzi California Classic, la moto dei suoi sogni. Fece qualche chilometro di quella strada dritta, poi trovò finalmente un’area di servizio e vi si fermò. Al benzinaio, un uomo vecchio, basso, e calvo, dall’aspetto inquietante, ma pur sempre l’unica persona in quel piccolo spiazzo al lato della strada su cui sorgeva una pompa di benzina e una squallida baracca di lamiera, chiese dove fosse finito. Egli rispose che non parlava la sua lingua, in inglese; Carmelo, che quella lingua la conosceva discretamente, rifece la domanda. Il vecchio questa volta capì, e replicò che si trovava, ovviamente, in Arizona, dove pensava di essere? Il giovane era sbalordito, e il benzinaio, resosi conto del disorientamento dell’altro, gli disse che la strada su cui si trovava era la celeberrima Route 66, che attraversava il paese, e che se avesse proseguito lungo quella strada in meno di un giorno sarebbe arrivato in California, la meta ultima di quella lunga via. Lo stupore quasi sgomento del ragazzo si trasformò in meraviglia: Route 66! California! Per lui, amante di musica rock e di motociclismo, era quasi un sogno che si avverava. Dopo aver ascoltato e accettato il consiglio del vecchio sul motel dove fermarsi (era già tardo pomeriggio, non sarebbe arrivato in California prima di mezzanotte) più avanti lungo la strada. Ringraziò calorosamente il vecchio e dopo un pieno, pagato con quei dollari spuntati misteriosamente nella sua tasca al posto degli euro che aveva, ripartì rombando a bordo della motocicletta.

Il vecchio non aveva mentito: il motel Eight Ball era veramente ottimo, le camere erano pulite e il servizio era buonissimo. La receptionist, oltre che molto carina era anche gentile e premurosa, quasi troppo. Dopo una cena nel ristorante che spuntava subito a lato del motel, Carmelo decise che era ora di andare a dormire, data la spossatezza ereditata già dalla sera tardi dalla quale era arrivato lì. In effetti, prima di addormentarsi rifletté proprio su come era arrivato lì. Si ricordò che qualche tempo prima aveva parlato con un suo amico molto ferrato in fisica, che gli aveva spiegato della possibilità teorica dell’esistenza di un “qualcosa” chiamato wormhole, un passaggio tra diversi punti nello spazio o addirittura tra diversi momenti temporali. Il salto temporale doveva esserci stato ma di poco, il calendario nella parete della reception diceva che era la domenica seguente il giorno in cui tutto quello era cominciato. Però aveva viaggiato per migliaglia di chilometri insieme alla sua moto, e questo gli appariva molto strano. Cercò di non pensarci più, si disse che era veramente ora di dormire quindi si diede la buonanotte da se e tentò di addormentarsi.

Il sonno non arrivò. Voleva dormire, ma qualcosa lo disturbava. Un sibilo come di una teiera in ebollizione, prima appena udibile, poi sempre più forte, continuava ad echeggiare tra le pareti della stanza. Il ragazzo cercò di scoprire l’origine del suono, ma invano: non sembrava provenire da nessuna parte, comunque girasse la testa o si turasse le orecchie il suono era esattamente uguale, non sembrava un suono fisico quanto una bislacca produzione interna alla sua mente. Continuò per quelle che gli sembravano ore, mentre tentava disperatamente di ignorarlo, sdraiato sul letto nell’invano tentativo di cadere fra le braccia di Morfeo; poi quando sentiva di star quasi per impazzire, di colpo cessò. Finalmente era libero! Ora poteva dormire. La sveglia col display digitale luminoso, sul comodino al lato del letto segnava mezzanotte precisa, come in una stramba coincidenza. Poi, in modo ancora più strano, passato circa un minuto invece che segnare mezzanotte ed uno passò direttamente a mezzanotte e sei; poi anche il secondo zero diventò un 6, ed infine anche il numero che indicava l’ora arrivò a segnare quel numero. Ora aveva 666, il fin troppo noto numero della bestia visualizzato dall’inquietante luce rossa del display, e di questo ebbe un po’ paura, anche se non credeva affatto in superstizioni tipo l’esistenza del demonio o cose del genere, pensava più in uno scherzo di cattivo gusto. Poi riecheggiarono nella sua mente, come il fischio che aveva udito in precedenza, parole minacciose e baritonali, non in italiano, non in inglese, ne avevano assonanze con una qualsiasi lingua di cui lui conoscesse anche solamente qualche parola. L’unica cosa che sentiva era la paura, sapeva che erano veramente parole perverse e blasfeme, nonostante non ne capisse il senso, e questo gli mise un gran terrore. Decise che doveva fuggire a tutti i costi, si alzò da letto; e in quel momento la stanza cominciò a oscillare intensamente, come sotto l’effetto di un forte terremoto, mentre tutto ciò che poteva cadere da sopra i mobili precipitava a terra. Gattonando come un bambino, Carmelo riuscì ad uscire dalla camera: all’esterno nulla si muoveva, era come se non fosse successo nulla, ne c’erano stranezze di alcun genere. Calmatosi, pensò di aver avuto un’allucinazione o un incubo, del resto cose come i demoni non potevano esistere, ma nonostante ciò decise che non sarebbe rimasto lì quella notte: la stanchezza era come se fosse svanita di colpo, e poteva affrontare la strada; inoltre c’era qualcosa di irrazionale che lo spingeva ad andarsene da quel posto, qualcosa che non capiva bene nemmeno lui. Prese la moto e partì, rombando nella notte. Percorse circa un centinaio di metri, poi il sibilo ricominciò, con gran spavento del pilota. Ma stavolta non era solo nella sua mente, stavolta proveniva dalle sue spalle. Girandosi, vide che la strada era percorsa da  un essere, che avanzava dritto dietro di lui, risucchiando all’interno dell’unica grande cavità del suo corpo tondeggiante ogni cosa sul suo cammino, e sembrava quasi far parte della carreggiata, un mostro che spuntava fuori dall’asfalto come uno squalo dall’acqua; a vedersi era un mostruosità della natura, una orrenda blasfemia fatta carne, sembrava come se la strada fosse maledetta. Preso dal più cieco panico, accelerò al massimo, ma invano: l’orrida cosa era più veloce, e guadagnava velocemente terreno. Infine, lo raggiunse, inghiottendolo immediatamente in un sol boccone. L’unica cosa che provò in quel momento fu un cupo terrore misto a rassegnazione all’inevitabile.

All’interno del ventre di quella creatura orrenda non era poi così male. Si stava sdraiati comodi, e c’era una luce bianca soffusa che dava l’impressione di essere in un luogo pacifico e calmo. Forse era morto, o forse no, aveva intenzione di scoprirlo al più presto, ma vide che non riusciva ad alzarsi ne a muoversi, era troppo debole, e si accorse anche che non riusciva a mettere a fuoco la situazione, era molto confuso. Si addormentò, infine, e al suo risveglio si trovava sempre in quel luogo, tuttavia ora era meno confuso: si accorse di non essere in paradiso o chissà in quale posto, ma in un ospedale. Riconosceva perfino lo stile con cui era arredata la stanza: era l’ospedale di Agrigento, ci era già stato alcune volte prima di allora. Provò a tirarsi a sedere e vi riuscì, ma si accorse che qualcosa non andava: la gamba destra era ingessata e gli doleva da matti. Poco più tardi arrivò l’infermiera con il pranzo, che con grande gentilezza gli spiegò, finalmente, ciò che gli era capitato. Un automobilista alla guida di un suv  lo aveva visto sulla motocicletta mentre gli veniva addosso, contromano, poi per evitarlo lo scooter aveva sbandato a destra ed era uscita fuori strada, finendo contro un albero. In quell’incidente Carmelo si era rotto un femore e aveva riportato alcune escoriazioni superficiali; gli era andata molto bene considerando la velocità a cui si era schiantato. Ecco che cosa era successo! La luce in cui era entrato non erano altro che i fari della grossa auto, e tutto ciò che era successo poi era frutto della sua immaginazione! Dopo qualche ora dal pasto arrivarono anche i suoi amici, quelli che lo avevano lasciato solo la sera passata, o meglio quattro giorni prima di cui non aveva alcuna percezione, tenuto com’era stato in coma farmacologico dai medici, come aveva appreso dall’infermiera. Gli spiegarono che quella sera un loro amico comune, e che Carmelo non conosceva, era stato ricoverato proprio in quell’ ospedale, ma per una banalissima appendicite. Era solo colpa loro se lui si trovava in quella brutta situazione. Il giovane espresse il perdono ai suoi compagni di bevute, ma in cuor suo sapeva: la responsabilità non era loro, era solo sua, della sua paranoia mista con un po’ di egocentrismo, il tutto amplificato dal suo vizio alcolico; era proprio quello il problema, capì. Prese una decisione: in vita sua non si sarebbe ubriacato mai più, pur continuando a bere con moderazione. E così fece.

2 commenti:

  1. Molto bello, bravo Mattia, specie la parte horror... dovrebbe servirmi per moderare le mie bevute :P XD

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  2. Bel racconto! Il mio però é "più" meglio! :D

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