venerdì 31 dicembre 2010

2010

Come ho fatto per il 2009, anche per quest'anno ecco il mio bilancio annuale. Innanzitutto, al contrario del precedente, ho trovato quest'anno come estremamente positivo: nonostante tutto il dolore e la malattia che ho dovuto subire, e continuo comunque ad avere, ho avuto la fortuna quest'anno di trovare una persona fantastica come la mia Manu, con la quale ho coltivato un rapporto d'amore molto bello, e credo seriamente, a questo punto, che sia la persona della mia vita. Ad un lettore esterno potrà sembrare strano, ma per me è un rapporto così importante che riesce a rendere buono e positivo anche un anno terribile come questo, che a parte qualche piccola cosa, oltre a lei, mi ha portato solo fatti negativi, alcuni dei quali è meglio non rievocarli nemmeno (ma molti di questi fatti sono gli stessi che lamentavo l'anno scorso).

Per quanto riguarda la mia produzione, quest'anno so che è stata ben scarsa, ho postato poco più della metà dei post del 2009; e per la prima volta, sono stato un mese, per la precisione lo scorso ottobre, senza postare alcunché. Nonostante ciò, però, trovo che quest'anno ho scritto alcuni tra i miei migliori racconti di sempre, su tutti Supernovae e Prigioniero di se stesso; per non parlare del romanzo che ho cominciato a scrivere, che al contrario degli altri tentativi di romanzo, compreso quello senza titolo dell'anno precedente, carino ma un po' stiracchiato, mi sembra davvero valido e capace di emozionare. Quindi, un anno positivo anche per la qualità di ciò che ho scritto, mentre per quanto riguarda la quantità è stata piccola, ma purtroppo, in virtù dei fatti negativi di cui parlo sopra, non ho potuto fare altrimenti. Inoltre, il mese dell'anno con la maggioranza dei post è stato quest'ultimo, il che mi fa sperare di riuscir a tornare a produrre come prima, e anche di più, nel 2011.

Concludo il bilancio di fine anno sottolineando come nel precedente bilancio annuale io abbia scritto "Mi auguro solo che il nuovo anno (e il nuovo decennio) siano migliori, e che il prossimo anno sia ancora qui, a dire quanto l'anno 2010 sia stato bello e positivo per me (cosa di cui dubito)"... ne dubitavo giusto un anno fa, ma ora posso dire che, come ho già detto, nonostante le negatività di cui ho scritto, peggiori di quelle dell'anno passato, per me tutto sommato è stato un anno bello. Detto questo, auguro un 2011 anche migliore a me stesso, alla mia Manu, e a tutti gli altri lettori del mio blog(anche se ho seri motivi di pensare che le prime 2 persone siano anche tutti i lettori:D). Buon 2011 a tutti!

martedì 28 dicembre 2010

Un caso di disinformazione?

Questa mia breve riflessione parte da una notizia di cronaca, che pur non colpendomi come altre, mi ha comunque dato molto da pensare. In pratica, ho saputo che è stata criticata la presenza al festival di Sanremo di Davide Van De Sfroos, cantante lombardo i cui testi sono nel dialetto madre. Ora, premesso che non ascolto la musica di questo cantautore e nemmeno il pop (italiano o internazionale), e che non seguo quindi Sanremo, mi hanno comunque colpito molti giudizi negativi, che partivano tutti da un punto: Van De Sfroos è leghista, e non bisognerebbe invitare un leghista al festival della canzone italiana del 150° anno della sua unità. Come già detto non conosco bene il cantante in questione, e non capirei nemmeno i suoi testi, ma la mia ragazza, lombarda, avendo un'ottima cultura musicale lo conosce bene; da lei ho appreso che questo cantante con la lega, non c'entra nulla, anzi, il testo di alcuni suoi pezzi addirittura in opposizione con le posizioni leghiste.

Ripetendo, ancora, che non mi importa di Sanremo, comunque la notizia mi ha portato a riflettere. Possibile che chi dovrebbe informare su un argomento, lo affronti in maniera così superficiale e senza informarsi? Per me questo è sbagliato, senza dubbio. Ci dovrebbe essere più scrupolo nel raccontare la realtà, secondo me, e quindi sarebbe opportuno che falsità del genere non venissero divulgate, perché non è possibile che chi non sa i fatti, invece di venirne a conoscenza viene disinformato e portato anche a formarsi opinioni legittime anche, ma che partono da premesse false.

Credo di aver detto tutto, un'ultima cosa: è il penultimo post di quest'anno, il prossimo sarà ovviamente il bilancio annuale, il 31 del mese.

sabato 25 dicembre 2010

Merry Christmas

Nulla di importante, stavolta, in questo post... giusto, buone feste natalizie a tutti i lettori di questo blog!

domenica 19 dicembre 2010

Doom over the world?

Da qualche mese, luglio per la precisione, blogger ha aggiunto la funzione "statistiche": si tratta di un servizio che consente al blogger, ossia a me, di guardare quante visite ricevo e alcuni dati sui visitatori del mio blog (assolutamente non personali, comunque, mi dice solo se mi hanno trovato dal mio profilo facebook, e se usano Firefox piuttosto che Internet Explorer). Da circa un mese ho cominciato ad usare questa funzione, e ho trovato diversi dati interessanti. Quello che mi ha fatto più riflettere è che, nonostante come è ovvio la maggior parte delle visite proviene dall'Italia, ho anche decine di visite da Stati Uniti e Russia, nonché un numero significativo di visite da altri paesi europei (Ucraina, Germania e Spagna su tutti). Per questo, mi chiedo se ho dei lettori anche oltreconfine e addirittura dall'altra parte dell'oceano, oppure se son visite casuali, magari dovute alla semplice digitazione in un motore di ricerca delle parole "Hand Of Doom" (ovviamente cercando la splendida canzone dei Black Sabbath a cui mi sono ispirato anche io). Probabilmente non lo saprò mai, anche perché nel secondo caso i visitatori non capirebbero nemmeno ciò che scrivo; ma nonostante questa evenienza, che trovo ad ogni modo alquanto probabile, è comunque bello immaginare di avere un piccolo seguito di lettori che apprezzano ciò che faccio, anche al di fuori dell'Italia. Spero quindi che così sia, e così concludo questa mia breve riflessione.

lunedì 6 dicembre 2010

Una notte come tante altre

Dopo molto, molto, molto tempo che non scrivevo una poesia, eccomi tornare con una cosa che ho improvvisato sul momento, che mi sentivo di scrivere e in pochi minuti l'ho realizzata. So che il tema, per le mie poesie, è stato da me stra-abusato, ma questa mi pare "carina", di poesia, e per questo ho deciso, dopo averla scritta, di pubblicarla comunque. Spero sia di gradimento.

Una notte come tante altre

Dieci di sera
E son pieno di sonno
Mi corico a letto
Davver stanco morto

Poi le undici
Ancor non dormo
Tante cose in testa
Pensieri eppur sonno

Or è mezzanotte
Vorrei riposar
Dei pensieri son stufo
Ma non ne posso scappar

Due di notte
Ed or fantasie malate
Girano per la mia testa
Come impazzite

Sono le quattro
Ormai è mattin
Ma proprio non riesco
A dormire infin

Ed ora le otto
Mi devo alzare
Mal di testa e agli occhi
Ad accompagnare

Ed è così questa
Una qualunque notte
Una notte insonne
Come son ormai tutte

venerdì 3 dicembre 2010

Prigioniero di se stesso

Dopo pochi giorni dalla pubblicazione dell'ultimo racconto riscritto, eccone uno nuovo, che son riuscito a scrivere in soli due giorni, non so perché ma con questo le parole mi venivano naturali. Probabilmente però è perché è un argomento di attualità che già in passato ho trattato qui, su questo blog, poco meno di due anni fa, ossia il tema dell'eutanasia. E' un racconto molto drammatico e al contempo molto sentimentale, forse un po' macabro in alcuni punti ma sempre pieno di pathos e di emozioni; nel complesso lo ritengo uno dei racconti più belli che ho scritto, e spero che sia di gradimento anche ai miei lettori.

Prigioniero di se stesso

Era un bellissimo pomeriggio estivo, e il ragazzo passeggiava per la strada, con la testa leggera per la felicità. Era appena uscito di casa, e stava raggiungendo la sua solita, piccola compagnia e la sua amata ragazza alla pizzeria, dove era prevista la festa per il suo diciannovesimo compleanno. Non era importante come il traguardo dell’anno precedente, quello della maggiore età, ma comunque era pur sempre un motivo per fare un piccolo party con pochi fedeli amici. Girò l’angolo ed eccoli lì, davanti al locale, erano arrivati tutti ormai, aspettavano solo il festeggiato: quando lo videro, lo salutarono calorosamente e in maniera festosa. Agitando la mano a sua volta e gridando i suoi saluti di risposta, il giovane si apprestò ad attraversare la strada che lo separava da loro. Lui era giudizioso, così guardò a destra e a sinistra prima di attraversare (senza vedere nessuno), nonostante l’entusiasmo lo spingesse a correre da loro; ma nemmeno la sua prudenza poteva salvarlo dal ricchissimo pirata della strada che, alla guida di una Lamborghini, uscì a centotrenta chilometri orari da dietro la curva lì vicina, travolgendo il povero giovane in mezzo alla strada, senza la più piccola possibilità di evitarlo, e facendolo volare via come un sacco pieno di patate. Lui sentì appena le grida degli amici terrorizzati, nemmeno il dolore per aver sbattuto più e più volte il capo e il corpo sull’asfalto, prima di perdere totalmente i sensi.

Quando riprese coscienza, era sdraiato su un letto, chiaramente in ospedale. In pochissimo tempo divenne perfettamente cosciente di quello che aveva intorno, ma intuiva anche, in qualche modo che gli sfuggiva, che non era davvero sveglio, ma era come se vivesse uno strano sogno, in cui vedeva la realtà da dentro ma non era lui il padrone di se stesso. Intorno a lui, tante persone si muovevano, la maggior parte col camice bianco, ma c’erano anche non-medici: riconobbe la sua ragazza, in lacrime, e i suoi amici più stretti, tutti assaliti dallo sconforto. Dopo poco, arrivarono i suoi genitori, singhiozzanti anch’essi; e ancora dopo poco tempo, entrò nella stanza un dottore, che chiamò il gruppo di visitatori a se. Disse a tutti loro che le analisi purtroppo non lasciavano alcuna speranza, che il giovane si trovava in stato di morte cerebrale, e che non si sarebbe mai più svegliato, era in coma irreversibile. Ora tutti piangevano, tristissimi, e anche se fisicamente non aveva alcuna possibilità di muoversi, dentro anch’egli versava lacrime silenti. La tristezza però non si trasformava in rabbia verso il dottore: se per qualche strano motivo era cosciente, seppur in maniera onirica, come per un’arcana intuizione sapeva che il dottore stava dicendo il vero, che lui non avrebbe mai più potuto risvegliarsi, e che davvero la sua mente era irrimediabilmente danneggiata. Più ci pensava più era difficile accettare ciò che era accaduto, e sentiva che avrebbe preferito morire: non avrebbe mai più potuto star accanto alla sua fidanzata, non avrebbe mai potuto scherzare con i suoi amici, non avrebbe mai potuto vivere di nuovo, mai più. Era ormai rinchiuso nel suo corpo, intrappolato al suo interno come in una prigione senza via d’uscita, se non la morte.

Man mano che il tempo passava, le fratture che l’incidente aveva causato al corpo del ragazzo guarirono tutte perfettamente, addirittura senza lasciar particolari cicatrici; ma non era quello che importava al giovane, che continuava a rimanere cosciente in maniera onirica, vivendo la sua tragica situazione di morte come se fosse ancor vivo . Si chiedeva sempre come poteva essere ancora cosciente, visto che era morto cerebralmente: forse la parte del suo cervello danneggiata era più quella del movimento che quella del pensiero, e nonostante fosse in coma la sua mente continuava a lavorare; ma non era certo che questa fosse la risposta, e nemmeno poteva chiederlo a un dottore, visto che il suo corpo non rispondeva in quasi nessun modo, era come un blocco di pietra solida e inamovibile. Qualche movimento ancora gli riusciva: di respirare da solo non se ne parlava, per quello c’era una macchina infilata nella trachea, e un’altra gli sparava dritta nella gola una schifezza vomitevole, che per quanto nutriente e sana era davvero terribile da mandar giù; ma le palpebre si muovevano autonomamente, anche se lui non poteva controllarle, ed esse agivano solo in base al suo corpo. Succedeva così che certe volte aveva tantissimo sonno, ma era costretto a star sveglio, che la chiara luce d’ospedale gli entrava negli occhi spalancati; ed altre volte, avrebbe voluto vedere, se qualche persona cara gli veniva a far visita, ma le palpebre erano serrate, e non poteva farci nulla. A parte quest’unica azione però era completamente immobile sul suo letto, cosa che lo faceva soffrire non poco, visto che fin dai primi giorni di degenza in ospedale si erano formate, sulla sua parte posteriore, delle dolorosissime piaghe da decubito, alle quali nessuno faceva caso, visto che non si lamentava, e nessuno poteva pensare che fosse cosciente. L’unica cosa che riusciva a distrarlo provvisoriamente dalla sua sofferenza era la sua adorata ragazza, che lo visitava spesso, stava delle ore con lui, leggendogli qualche libro, e molte volte lo coccolava e lo baciava anche, nonostante lui non potesse, con sua grande tristezza, ricambiargli i baci e l’affetto. Erano gli unici momenti di felicità, in un vivere che per lui era diventato di colpo raccapricciante e senza senso, con l’unica libertà di rimanere lì, imprigionato e torturato dal suo proprio corpo.

Nei trent’anni in cui rimase attaccato alle macchine, il giovane, ormai uomo, divenne orrendo a vedersi, gonfio com’era per la mancanza di qualsiasi attività fisica. Anche se non si era mai considerato bello, rispetto a prima dell’incidente era diventato un mostro; per non parlare di tutta la sofferenza che provava, man mano che i suoi muscoli si atrofizzavano e morivano, dandogli delle dolorosissime fitte. Erano decenni che soffriva così, ma nonostante questo non riusciva ad abituarsi, era troppo duro da sopportare, e nella sua mente urlava per ore, senza però riuscire nemmeno a far neanche sussurrare il suo corpo. Oramai, i suoi genitori erano morti di vecchiaia, e praticamente tutti gli amici che aveva all’epoca del misfatto si erano pian pianino distaccati da lui, per vivere, giustamente, la propria vita: solo la sua fidanzata gli era rimasto vicina, accanto a lui. L’uomo soffriva a vederla lì, con la tristezza che le velava gli occhi, e sapeva che lei, per stargli accanto, non aveva avuto nessuna relazione, gli era fedele in maniera quasi commovente; aveva il suo lavoro e la sua vita, certo, ma lui, per l’amore che aveva ancora per lei, avrebbe preferito che così non fosse, avrebbe preferito esser solo, se questo avrebbe significato la sua felicità. Tuttavia, era sempre bellissimo averla accanto, anche se ormai l’età le segnava il viso per l’uomo la donna era sempre meravigliosa, e non solo fisicamente, ma anche per la sua dolcezza, e per la forza della sua determinazione. Prima dell’incidente, infatti, qualche volta si era parlato, nella loro coppia, di un argomento attuale come il fine vita, e la donna sapeva perfettamente che il suo amore voleva essere staccato dalle macchine, e lasciato a morire se gli fosse successo quello che poi accadde. Così, lei combatteva da quasi subito dopo l’incidente contro i politici compiacenti, i movimenti contrari al suo staccar la spina e tutto il resto, senza mai darsi per vinta, perché il volere del suo amore fosse applicato.

A trent’anni esatti dall’incidente, la sua ragazza riuscì finalmente ad ottenere il permesso, da parte del tribunale, di sospendere la sua alimentazione forzata; e quel giorno glielo annunciò, con le lacrime agli occhi, in parte per la felicità di essere riuscita, in parte per la tristezza di doverlo lasciar andare, finalmente. Ma se ci pensava non sarebbe comunque morto, in realtà il suo fidanzato era mancato trenta lunghi anni prima, e lei non aveva fatto altro che stare accanto al suo corpo, sperando che quell’uomo, l’amore della sua vita, potesse avere qualche residua speranza, nonostante sapesse che di speranze non ne aveva, di uscir dal coma irreversibile. Lui, nello strazio di una vita in trappola, era felicissimo del risultato ottenuto dalla sua anima gemella, e anche se non poteva farsi sentire, la ringraziò con tutto l’amore che ancora provava per lei. Dopo trent’anni, quei pochi giorni per morire di sete non sembravano tanti, ma passarono ancor più in fretta visto che lei gli fu tutto il tempo accanto, facendo sembrare la sua vita bella, per la prima volta in tanti decenni. Solo la sera del secondo giorno l’armonia fu rovinata, quando entrambi sentirono dei rumori provenienti dall’esterno: un gruppo dei cosiddetti “pro-life” si era assiepati davanti all’ospedale, e volevano entrare per riattaccargli la spina. Allora, entrambi si arrabbiarono: lui aveva deciso di morire per non dover più sopportare quello stato che non era vita, ed era stato aiutato dalla persona che amava in questo; quindi quella gente, che nemmeno lo conosceva, non aveva alcun diritto di imporgli una decisione dettata da fede o da chissà quale principio totalitario, che non accettava le scelte individuali. Fortunatamente però il gruppo non fu fatto entrare in ospedale, così lui poté continuare ad andare incontro al suo destino. Passò poco tempo, prima che il giovane sentì di star morendo letteralmente di sete; ma non gli importava, rispetto alla sofferenza che aveva dovuto patire in tutto il tempo passato immobile, quella era praticamente nulla. La sua fidanzata ancora lo abbracciava con amore, ed era come se lui riuscisse comunque a far sentire il proprio a lei, anche se non poteva ricambiare, purtroppo, il suo abbraccio. Poi tutto peggiorò, si sentiva veramente male, e sapeva che la fine stava per giungere. Miracolosamente, il suo corpo aprì le palpebre prima chiuse, e lui poté per l’ultima volta guardare gli occhi pieni d’amore di lei; poi sentì che finalmente stava per andarsene, e il suo spirito, finalmente, volò via libero… ma non prima di essersi un momento fermato.

Il suono dell’elettrocardiogramma piatto echeggiava ormai da due minuti, e i medici non avevano, ovviamente, tentato nemmeno di rianimarlo; ma lei ancora lo abbracciava, quell’uomo che era stato il suo unico amore, nei quarantanove anni della sua vita. Lo strinse ancora un po’, poi lo lasciò, e con le lacrime agli occhi si alzò in piedi. Lui non c’era più da trent’anni, ma ora anche il suo corpo era morto, e questo non era il suo unico impiccio: ricordava ancora come, quando era ancora giovane, si erano accaniti sul povero padre di Eluana Englaro, e di sicuro in oltre trentadue anni, se qualcosa era cambiato, dal punto di vista politico sul fine vita, era stato in peggio. Guardò ancora il suo uomo, che aveva richiuso gli occhi: ma quando li aveva aperti, ci aveva letto tanto amore e tanta riconoscenza, e solo questo l’aveva resa finalmente contenta, dopo quasi trent’anni di lotta. Stava quasi per andarsene, quando un sussurro la fece voltare. Sentì chiaramente pronunciare le parole: “grazie di tutto quanto l’amore che mi hai dato, luce dei miei occhi, e grazie per avermi ridato la libertà. Ci rivedremo oltre le cortine oscure della morte, ti aspetterò per tutto il tempo necessario, e ti amerò per sempre. Arrivederci, amore mio.”. La donna pianse dalla gioia a quelle parole, e poi, con il cuore più leggero, si recò a casa, dove avrebbe finalmente potuto mettere il cuore in pace e riposare, finalmente… come il suo amore stava facendo, infine libero, aspettandola dall’altra parte.

mercoledì 1 dicembre 2010

Una breve riflessione sul mondo attuale

E' un bel po' che non scrivo un post impegnato, ma ora mi sento di farlo, e quindi torno a scrivere di politica. Ciò che mi ha colpito negli ultimi giorni è la questione internazionale "Wikileaks", che penso conoscano tutti, ma che riepilogo in poche parole: questo sito, Wikileaks, ha reso pubblici dei documenti di intelligence, per così dire, "segreti", e sono uscite così tantissime notizie che non si sarebbero dovute conoscere, almeno per i diplomatici. Da quei documenti escono tanti giudizi di politici su altri politici che non corrispondono affatto ai giudizi pubblici che gli stessi hanno espresso in pubblico. Senza entrare nel merito della questione politica, vorrei riflettere un momento su questo fatto: evidentemente i documenti di Wikileaks dimostrano che l'ipocrisia regna sovrana, nei nostri governanti, a meno di non ammettere che essi son dei falsi (cosa che nessuno, o quasi, ha fatto); e questo è un fatto abbastanza grave, è una forma di disonestà che se non è illecita, per la legge, è comunque moralmente sbagliata, almeno secondo me. E' per questo che, nonostante anche Wikileaks abbia comunque i propri difetti (alcuni dei documenti son gossip), io sono comunque a favore di iniziative come questa, e sono contrario alla "persecuzione" del suo creatore, Julian Assange, ricercato in oltre 180 paesi del mondo, ufficialmente per stupro; ma al di là che lo stupro sia avvenuto o meno, è chiaro che questa caccia all'uomo è eccessiva, visto che di stupri ce ne sono a migliaia, e che quindi Assange è perseguitato solo per la scomodità della sua creazione.

Ecco, è tutto quello che ho da dire su questa questione, che non sarà la più pressante per me ma ha comunque ha la sua importanza, per quanto mi riguarda.

giovedì 25 novembre 2010

Un lunghissimo viaggio


Molti mesi dopo "Supernovae", finalmente sono riuscito a completare la riscrittura dell'altro racconto "perduto", anche se con un tale, consistentissimo, ritardo, dovuto a motivi personali, a impegni e a distrazioni varie. Che dire... è venuto meglio di quanto pensassi, meno fiabesco e dal tono più serio di quanto immaginavo risultasse, ed è quindi, per me, un buon racconto, carico di emozioni e vagamente onirico. Ancora una volta, spero che sia di gradimento per chi lo legge.

Un lunghissimo viaggio

Il raggio gamma nacque improvvisamente in un luogo denso e pieno di plasma, dalla fusione dei suoi “genitori”, due protoni, che si congiunsero per dar luogo ad un nucleo di deuterio; lui, insieme ad un elettrone, suo gemello, fu il frutto di quella unione. Il fotone era diverso, però, sia da suo fratello che dai suoi genitori, a loro differenza non aveva alcuna massa ma in compenso si sentiva pieno di una grandissima energia; e per qualche motivo a lui oscuro, sin dalla sua nascita sentiva di doversi muovere alla velocità della luce, senza poter farne a meno, e così fin dai suoi primi istanti fece. Perse di vista subito i suoi parenti, che non potevano andare alla sua velocità, ma non gli importava, si sentiva forte e andava avanti con gioia, e senza guardarsi indietro. Presto abbandonò la zona in cui era nato, e si trovò in una nuova parte dove le particelle non reagivano, ma erano comunque estremamente concentrate. In quella zona densissima, ogni tanto il raggio gamma urtava qualche particella, ma aveva la fortuna di avere una traiettoria che gli consentiva di evitarne la maggior parte, al contrario di tante altri suoi simili che perdevano energia nelle collisioni, pur continuando al viaggiargli accanto. Attraversò l’intera zona in un tempo molto breve, questioni di minuti, e si ritrovò in una nuova regione, una parte ancora meno abbondante di materia, ma in cui i nuclei di idrogeno e i pochissime di elio lì presenti c’erano si muovevano velocemente tutti insieme, seguendo come una corrente ininterrotta. Non avendo la possibilità di cambiare direzione, e sapendo di dover andare avanti, il raggio gamma si unì subito al flusso, ma l’esperienza si rivelò fin da subito spiacevole: il flusso era pieno di particelle che spingevano e rimbalzavano tra di loro, e l’entusiasmo iniziale del fotone era diventato allora una specie di malessere. Tuttavia,una volta entrato, non era possibile uscirne, almeno finché la corrente non lo avesse rilasciato, e così dovette seguirne il tortuosissimo e labirintico corso per un tempo lunghissimo, così tanto che perse il senso del tempo, e non seppe da quanto si trovava lì.

Quando ormai il fotone aveva perso ogni speranza di uscire dalla corrente, che in maniera monotona lo faceva oscillare tra zone di differente densità, ma sempre con la stessa cadenza, qualcosa finalmente successe: Si ritrovò proiettato dal flusso stesso in una zona in cui esso non esisteva più, e dove le particelle erano talmente rarefatte che il fotone poteva proseguire per la sua strada senza scontrarsi con alcuna di loro. Con felicità riprese a muoversi in linea retta: era libero, finalmente! Molto velocemente uscì anche da quel posto, e man mano che avanzava protoni ed elettroni diminuivano sempre di più, fino ad arrivare ad essere praticamente nel vuoto, anche se dalla partenza dalla zona in cui era rimasto per anni in poi viaggiava circondato da un’immensa quantità di fotoni suoi simili. A volte gli capitava anche ancora di sorpassare velocemente qualche particella di vento stellare, ma con esse non c’era più rischio d’impatto, tanto erano rade. La sua innata curiosità lo spinse a guardarsi intorno, ad esplorare l’ambiente, molto diverso da quello che aveva conosciuto in precedenza: dietro di lui, l’enorme stella che aveva attraversato dal centro fino all’esterno, era ancora luminosissima, ma era ormai solo una sfera bianca sospesa nello spazio, e non sembrava l’immenso labirinto dal quale era uscito impiegando anni, pur muovendosi alla velocità della luce. Davanti a lui, invece, un puntino di luce si ingrandiva, e presto divenne una grossa sfera verde e azzurra, un pianeta evidentemente, con un grosso satellite quasi bianco con cui formava una bella coppia. Il raggio gamma osservò i due corpi celesti che passavano velocemente, e con la sua vista acutissima scorse che c’era del movimento, sulla superficie del pianeta: c’erano degli esseri che non andavano avanti per inerzia, ma facevano la loro volontà senza limiti! Erano molto diversi da lui, fatti di miliardi di atomi, esseri che addirittura comunicavano tra loro. Come li invidiava! Lui era un raggio gamma, non poteva fare ciò che voleva ne muoversi nella maniera che gli piaceva, doveva continuare ad andare diritto, senza nemmeno poter comunicare le sue emozioni agli altri miliardi di fotoni, che pure erano suoi silenti compagni di viaggio. La visione presto passò, doveva comunque continuare ad andare avanti imperterrito, e come era arrivato il pianeta vivente sparì, diventando prima un puntino nero che risaltava appena sulla superficie incandescente della stella, e alla fine scomparve, fagocitato dalla sua immensa luminosità. Il fotone continuò a viaggiare, imperterrito. Bastarono poche ore per passare le orbite degli altri pianeti, molti dei quali li vide però solo come puntini nella lontananza, appena distinguibili tra gli altri puntini del cielo stellato; alcuni non li scorse affatto, addirittura, dato che erano dall’altra parte dell’orbita. Solo un altro poté scrutarlo da vicino, ma fu una vera delusione, un gigantesco pianeta fatto di solo gas e dalle strisce azzurre e blu che lo attraversavano, ma non era nemmeno lontanamente interessante come il primo che aveva visto, e non gli dispiacque quando il suo moto lo allontanò da esso.

I giorni divennero mesi, e poi anni e decenni. Ogni tanto si poteva vedere, lontana, una qualche cometa, ma nulla di che, i corpi e anche le particelle con massa propria erano rarissimi, specie dopo che era uscito definitivamente da quel sistema stellare, ed i fotoni che l’accompagnavano erano la sua unica compagnia. E ancora, i decenni divennero secoli e poi millenni, e il raggio gamma si sentiva sempre più annoiato, il paesaggio stellato dava davvero poche emozioni, per quanto era monotono. Una volta era passato nelle vicinanze di una stella, che col suo vento stellare aveva riempito per qualche tempo lo spazio intorno a lui di particelle e lo aveva attratto con la sua forza gravitazionale, deviandone leggermente la traiettoria; ma non era stata molto esaltante come esperienza, anzi era stato infastidito dalla sua forza; un’altra volta era passato abbastanza vicino ad una nebulosa planetaria da vederla chiaramente, ed era stato uno spettacolo bellissimo, anche se noioso dopo un po’. Nel suo cuore però c’era sempre e solo il pianeta che aveva visto poco dopo la sua uscita dalla stella, e quelle forme di vita meravigliose che vi abitavano; per quanto brevissima, era stata l’esperienza più meravigliosa e gioiosa della sua vita, l’unica in cui era stato davvero felice, oltre ai primi momenti della sua nascita.

I millenni divennero milioni di anni, e man mano le stelle nel paesaggio divennero sempre più rade, finché il fotone si ritrovò nello spazio intergalattico, senza più stelle. Alle sue spalle a quel punto non vedeva più astri singoli, ma solo una grande galassia a forma di spirale, molto luminosa; però lui sapeva che non poteva far altro che andare avanti diritto, nonostante tutto, volente o nolente; così, sfiducia e tristezza nel suo cuore crescevano sempre più. Intorno a lui, la maggior parte dei fotoni che avevano proseguito insieme a lui, si allontanava, lentamente ma inesorabilmente, e i pochi che continuavano nella sua stessa direzione erano comunque una compagnia silenziosa, che gli causava un’insoddisfazione sempre più bruciante. Milioni di anni, ancora, e poi miliardi, e il raggio gamma guardava le altre galassie, alcune vicine, altre molto più lontane, che gli passavano pian piano accanto; ce n’era una anche esattamente davanti a lui, ma era lontanissima; e il fotone continuava, un milione di anni dopo l’altro, ad andare avanti. Per quanto per lui il tempo non passasse, la sua energia, man mano che avanzava, diminuiva sempre di più, e con lei anche il suo interesse per il mondo, anche le forme fantastiche delle galassie che aveva attorno lo avevano tediato. Dopo diversi miliardi di anni, il fotone arrivò finalmente vicino alla galassia che aveva scorto da lontano. Era una bella galassia a spirale barrata, e lui si accorse che il suo percorso rettilineo passava quasi perpendicolarmente attraverso un braccio della spirale. Quando era nella sua galassia di provenienza non era felice di trovarvisi, si annoiava a morte, ma ora sarebbe stato contento se, almeno per qualche altro milioncino di anni, avrebbe potuto tornare a vedere un cielo stellato, invece che l’immenso vuoto cosmico che fino ad allora lo aveva circondato e che lo aveva fatto sentire solo e sconsolato. In qualche altro milione di anni arrivò al limite della galassia, e vi entrò, con poca felicità per le stelle ma moltissima stanchezza, stanchezza che era ben visibile: dall’inizio della sua vita aveva perso molta della sua energia, e dal magnifico raggio gamma era rimasto un semplice raggio luminoso.

Trascorse qualche altra decina di migliaia di anni, in cui non successe molto. Nonostante pian piano il cielo, con gran gioia del raggio di luce, si era di nuovo riempito di stelle, comunque sul suo percorso non aveva incontrato nessun astro; ogni tanto qualche particella attraversava la sua strada, ma era troppo poco, e rimpiangeva i bei tempi andati in cui, miliardi di anni prima, aveva guardato con sufficienza la stella e la bellissima nebulosa che aveva incontrato nella galassia di origine. Poi però, dopo qualche milione di anni in cui lo scoramento riprese il sopravvento sulla felicità di non essere più nel vuoto cosmico, finalmente il fotone arrivò nei pressi di una stella, meno luminosa di quella da cui veniva ma comunque similissima. Di nuovo, tornò a muoversi nel vento stellare, questa volta in direzione contraria, risalendolo; ma nulla lo poteva fermare, e la stella si avvicinava man mano, causando la commozione del fotone, che per la prima volta dopo miliardi di anni vedeva da vicino un corpo celeste da vicino. Anche questa stella aveva un sistema planetario: vide da lontano un pianeta gassoso, ma che non assomigliava a quello bruttino del suo sistema di provenienza, era invece una sfera grigio-arancio, che sembrava quasi liscia, cerchiata da un elegantissimo anello fatto di piccoli asteroidi. Fu un bello spettacolo, ma nulla in confronto a quello che vide solo poche ore dopo. Avvenne tutto in pochissimo tempo: il nuovo pianeta si avvicinò rapidissimo, e con una gigantesca meraviglia il fotone si accorse che anche sulla sua superficie c’erano dei piccoli esseri, abbastanza diversi da quelli che aveva visto, ere prima, nel suo sistema natale, ma non per questo meno incantevoli. Assomigliava davvero a quel pianeta di tanto tempo indietro, aveva persino un satellite quasi identico (anche se di colore molto più scuro), ma questa volta la situazione era diversa: questa volta, con grande meraviglia ed emozione, il raggio di luce si accorse che la sua traiettoria puntava dritta dritta sulla superficie! Finalmente, dopo lo sconforto e l’orrore di una vita, tutti quei miliardi di anni assumevano un senso, quello di raggiungere il pianeta; e non sapeva come, ma nel cuore una voce gli diceva che, portando a compimento questo scopo, avrebbe aiutato quegli splendidi esseri viventi. In un momento attraverso l’atmosfera, e fu quasi alla superficie; la sua traiettoria finì dentro una specie di rete, in cui entrò, rimbalzò su una superficie e poi ancora su un’altra, di continuo, fino a venir indirizzata verso un’area diversa dalle precedenti. Non sapeva come, ma aveva la certezza che lì avrebbe concluso la sua vita: e mentre i pochi fotoni che erano riusciti ad oltrepassare le particelle d’aria e ancora lo accompagnavano si muovevano in tutte le direzioni lì dentro, lui impattava contro una particella della strana superficie, venendone assorbita. Questa fu la fine del fotone, ma i suoi ultimi istanti furono i più felici della sua vita : ne era valsa la pena, di tutti quei miliardi di anni di solitudine e di tristezza, per vivere solo quei pochi istanti di grandissima gioia lì, alla fine del cosmo.

La lastra fotografica che il tecnico gli aveva appena portato, con impressa la traccia di una galassia remotissima, era ottima, il telescopio Hooker aveva funzionato davvero divinamente, e il cielo di quella notte del tardo 1924 era straordinariamente limpido. Il professor Edwin Hubble la studiò a lungo, e poi, finalmente, si rese conto che era decisamente ciò che gli serviva. Dopo tante prove utili ma non sufficienti, quella era la foto definitiva, che gli consentiva di dimostrare scientificamente che le nebule, quelle nuvole lontane nel cielo, non erano semplici ammassi di stelle della Galassia, ma altri mondi, altre “galassie”, gigantescamente lontane dalla Terra! Era un risultato eccezionale, ed anche se c’era ancora del lavoro da fare, in cuor suo Hubble era felice. Con questa gioia, la mattina, dopo aver esaminato molte altre lastre fotografiche, andò a dormire; e in sogno, vide un unico fotone, che lo ringraziava per le bellissime emozioni che lui col telescopio gli aveva regalato, e che lui con grande emozione replicava, esprimendogli tutta la propria riconoscenza per quel lunghissimo viaggio che aveva fatto fare un balzo da gigante all’umanità.

lunedì 22 novembre 2010

Luna

Dopo un po' che non posto, tra diversi problemi e il fatto che mi sono concentrato sul progetto "La Ricerca nell'Immenso", eccomi di nuovo qui che comunico che il quarto (lunghissimo) capitolo del suddetto, intitolato appunto "Luna", è pronto, e chi lo volesse (immagino nessuno) lo può richiedere nei commenti. A breve comunque avrete novità.

Aggiornamento: il capitolo è disponibile a questo indirizzo

giovedì 23 settembre 2010

Gemini

E' pronto anche il terzo capitolo del mio romanzo, dal titolo "Gemini"... al solito, chi lo vuole lo chieda. Mi sto concentrando solo su questo, perché penso sia una cosa buona, però proverò comunque a scrivere anche qualcosa da pubblicare qui.

Aggiornamento: il capitolo è disponibile a questo indirizzo

lunedì 6 settembre 2010

Terra

Il secondo capitolo del mio novo romanzo, dal titolo "la ricerca nell'immenso", è pronto. Null'altro da dire e poco tempo da spendere, chi lo vuole lo richieda.

Aggiornamento: il capitolo è disponibile a questo indirizzo

venerdì 27 agosto 2010

La Ricerca nell'Immenso - Nova Sol

Ecco dunque la sorpresa che dicevo alcuni giorni fa: abbandonato definitivamente il progetto del primo romanzo, avendo perso tutti i file, ho invece deciso di scriverne un'altro, di carattere fantascientifico, che forse è più congeniale alla mia scrittura. Questo romanzo, dal titolo "La Ricerca nell'Immenso", era in realtà un racconto, che però ho ampliato dall'idea originale ed ora è diventato una specie di mini-romanzo. E' pronto ora Nova Sol, il primo capitolo, che sembra effettivamente un mio racconto; in principio pensai di pubblicarlo qui, sul blog, ma invece ho infine deciso che farò come con l'altro, ossia passerò il romanzo solo a chi me lo chiederà (dandomi anche un indirizzo mail se non è una persona conosciuta).

Aggiornamento: ora il primo capitolo del romanzo è disponibile a questo indirizzo

giovedì 12 agosto 2010

Un alfabeto d'amore

Intanto che le altre cose che sto facendo non sono finite, pubblico una poesia per la mia ragazza, oggi sono 6 mesi esatti che stiamo insieme, perciò vorrei farle gli auguri pubblicando una poesia che lei già conosce, ma che spero le piacerà ancor di più vederla pubblicata. Non so se è bella questa poesia, e non mi importa nemmeno, ne mi interessa se non è il mio solito stile, quello che conta è la persona a cui la dedico, e il pensiero verso di lei.

Un alfabeto d’amore

A sta per amore
Ciò che fai provare a me
Bi sta per i baci
Che io voglio dare a te

Ci sta per le coccole
Che son ciò che ti darò
Di è proprio il dono
Di cui questa poesia ti farò

E sta per Emanuela
Di tutti i nomi il più meraviglioso
F sta per felicità
Che mi dai tu, sentimento gioioso

Gi è appunto la gioia
Che tu fai vivere a me
Acca sta per… accarezzarti
Lo farò senza ma e senza se

I sta per idiota,
Son io con la mie paturnìe
Elle sta per love story
La nostra segue strane ma belle vie

Emme sta per meraviglia
Ciò che senza dubbio sei tu
Enne è invece il tuo naso
Che di tutti è quello che mi piace di più

O sta per oscuro
Il futuro che vedo davanti a me
Pi è il punto fisso
In futuro il solo e unico sarai te

Qu è quel giorno
Il più bello, in cui incontrai te
Erre sta per rosa
Come te è un fior degno di un re

Esse è la parola stupenda
Che ti delinea perfettamente
Ti sta per tantissimo
Quanto ti amo veramente

U sta per unione
La nostra la più bella è
Vu sta per voglia
Quella infinita che io ho di te

Zeta per cosa stia non so
Ma so una cosa nel mio cuore
Ciò che per te, Manu, provo
E’ vero e puro amore


Auguri, piccola, ti amo!

Piccolo restyling

Ho deciso di cambiare un pochino l'aspetto del sito, oggi. Ho tolto il myspace con la musica, visto che non è stato più aggiornato da tanto, e nonostante registri ancora, di tanto in tanto, qualche pezzo ambient, non lo metto più online. Al suo posto, troverete un avvertimento, rivolto ai troll come quelli che ultimamente si sono fatti vedere qui, un avviso che mette in guardia i miei lettori da un successivo ripetersi degli insulti.

Per quanto riguarda le mie "opere", ho quasi finito di riscrivere il "secondo racconto", e sto anche preparando qualcosa di speciale, pur con il breve tempo che ho a disposizione. Spero presto di riuscire a postare almeno qualcosa.

martedì 27 luglio 2010

Supernovae

Dopo un bel po' di tempo, con tutti gli impegni del caso, i problemi, i malesseri, e tutto il resto, sono finalmente riuscito a trovare il tempo per finire la riscrittura di uno dei due racconti che sono andati persi. Rispetto all'originale, questa riscrittura mi è venuta più estesa, diventando il mio racconto in assoluto più lungo, risultato ottenuto introducendo il messaggio finale, un'idea che ho avuto solo di recente. A parte questo, è un racconto che non introduce nulla di nuovo, rispetto a racconti precedenti miei (per esempio, ha dei punti in comune con Mutua Distruzione Cosmica e con Invasione), ma che comunque mi pareva buono, e che spero piaccia.

Supernovae

L’astronomo sedeva sul prato, sorseggiando lentamente una bevanda rilassante e guardando il cielo, mentre dentro la cupola il telescopio lavorava catturando un’immagine, assistito dai computer. Lo studio che stava compiendo riguardava la velocità di fuga di alcune galassie lontane, ed essendo la potenza del telescopio non così grande, ci sarebbero voluti alcuni minuti prima che il CCD raccogliesse abbastanza luce da poter avere una spettrografia abbastanza precisa per le sue ricerche: così, lo scienziato era uscito fuori. Amava ciò che faceva, quel misto di programmazione informatica e di matematica che era diventata l’astronomia moderna; tuttavia, spesso nei tempi morti usciva a vedere le stelle coi suoi occhi. Era un emozione unica, gli piaceva così tanto guardare i puntini luminosi di quella sublime volta. Preso da una sensazione di tranquillità e pace, senza alcun pensiero per la testa, cominciò così, per gioco, a cercare di riconoscere ogni costellazione e ogni oggetto celeste che vedeva. Tuttavia, c’era qualcosa che non gli quadrava. Una delle costellazioni appariva strana, era come quasi se vi fosse una stella in più, non troppo luminosa, ma comunque in un punto in cui c’era solo una galassia, ma nessuna stella visibile a occhio nudo. Immaginazione? Incuriosito, l’astronomo prese l’atlante celeste delle stelle, e controllò quel punto: come pensava, non c’era alcuna stella. Ripensò allora alla galassia: era in effetti la galassia gigante più vicina a quella in cui si trovava il loro sistema solare, e nelle notti terse come quella si vedeva persino a occhio nudo. Un’idea ovvia balenò nella mente dello scienziato: che fosse una supernova esplosa in quella galassia? Esaltato dalla possibilità di una scoperta scientifica, balzò in piedi, e tornò nella cupola velocemente.

Quando il tempo di esposizione della galassia lontana che stava puntando finì, e il computer chiuse la camera del CCD, l’astronomo puntò velocemente l’altra, e scatto una serie di brevi immagini elettroniche della durata di pochi secondi ognuna, quanto bastava per avere delle spettroscopie abbastanza nitide. Non c’era alcun dubbio: lo spettro di quel puntino era quello di una supernova di tipo Ia, la prima dopo molti secoli in cui in quella galassia fenomeni del genere non si verificavano. Era una scoperta eccezionale, visto anche che la stella esplosa era vicinissimo al bordo galattico più vicino a loro, e la sua luce arrivava quindi quasi senza assorbimento lì, perciò si sarebbe potuta studiare con grande precisione. Fuori dalla cupola, il cielo cominciava a schiarire, la notte astronomica era finita, anche se ad occhio sembrava ancora tutto buio; l’astronomo stava per staccare dal lavoro e andare a casa, quando qualcosa, nelle immagini che aveva acquisito, lo colpì: vicinissimo alla prima supernova, si vedeva un altro spettro, molto meno luminoso, ma che sembrava essere senza dubbio una stella in procinto di esplodere in supernova. Che scoperta! Erano secoli che non si vedevano supernove lì, in quella galassia, ed ora addirittura due vicine allo stesso tempo! Senza pensarci due volte, lo scienziato chiamo i suoi “superiori” nell’università in cui lavorava, e annunciò la sua scoperta.

Presto però, da esclusivamente scientifico, la scoperta di questo fenomeno diventò noto a chiunque sul pianeta e poi, grazie alla ipertelevisione, nel resto della galassia, anche al popolo che ovviamente non si intendeva di astronomia. L’avvenimento non si limitò a due supernove, infatti, ma una dietro l’altra decine di stelle esplosero, ed infine la parte più “in alto” della galassia era luminoso, tanto che era visibile, seppur non troppo, anche quando il sole era alto in cielo. Senza dubbio era un grande spettacolo, tanto magnifico quanto innocuo, vista la gigantesca distanza che lo distanziava da loro. Per quanto al popolo potesse sembrare bello, però il fenomeno creava un mucchio di interrogativi e di grattacapi da risolvere alla comunità astronomica dell’intera galassia, che malgrado gli sforzi intrapresi nel tentare di capire cosa succedesse, non arrivavano a nulla che non fossero ipotesi, mere teorie, ciascuna delle quali con tanti punti deboli da porre seriamente in dubbio che ve ne fosse una valida. Per anni, mentre la sottile area luminosa avanzava lungo la galassia (era colpa della sua alta inclinazione, che faceva arrivare la luce delle stelle più vicine prima della luce di quelle più lontane, mentre gli scienziati pensavano che un osservatore perpendicolare alla galassia l’avrebbe vista esplodere tutta contemporaneamente), gli astronomi si chiesero in cosa si erano imbattuti. Fu solo dopo che diversi secoli furono passati, che si trovò un modo, per la verità abbastanza ovvio, finalmente adatto a risolvere l’annoso enigma.

In quegli anni, la tecnologia per il traversata nell’iperspazio, che per millenni era rimasta praticamente la stessa, con pochi avanzamenti, di colpo grazie a una grossa rivoluzione tecnica (proveniente da un intuizione geniale di un capo ricercatore e del suo team, dall’Università riunita del pianeta Strileen’g) si perfezionò in maniera tale da consentire viaggi molto più lunghi di quanto prima era consentito senza alcuna sosta intermedia, e consumando una quantità di energia minore che in precedenza, fattore determinante per l’impossibilità dei viaggi intergalattici prima di allora. La comunità astronomica pensò allora di utilizzare questo nuovo metodo di viaggio iperspaziale per recarsi nella galassia vicina, in un percorso che per quanto lungo (tre o quattro mesi contro i due giorni che servivano già prima dell’innovazione per attraversare la galassia da un capo all’altro) era fattibile. Era un periodo ottimo, per la galassia: i commerci e i traffici andavano bene, e c’era una grande disponibilità di risorse, proprio ciò che serviva per lo sviluppo di quelle tecnologie; così, in breve tempo le prime navi intergalattiche furono pronte. Il primo volo verso l’altra galassia fu un test, con dei robot a bordo, solo andata e ritorno. Tutto andò molto bene, come anche i successivi test; ed infine, nell’anno 19673 della Repubblica Galattica una missione scientifica, formata da tre navi intergalattiche con relativo equipaggio e da un nutrito seguito di ricercatori, partì dal pianeta su cui era stato scoperto il fenomeno, Manteran, che era anche il mondo abitato più vicino alla galassia su cui si stava dirigendo.

Ci vollero quasi quattro mesi standard per arrivare, in un viaggio continuo e tortuoso nelle vorticose turbolenze spazio-temporali che componevano gran parte dell’iperspazio, ma tutto sommato non ci furono che pochi problemi minori, risolti facilmente dai tecnici di bordo. Quando, dopo il lungo viaggio, le navi uscirono entrando nello spazio comune, lo spettacolo fu sconcertante, per gli equipaggi: dal cielo del violetto acceso, tipico dell’iperspazio, erano passati ad uno sfondo completamente nero, praticamente senza luci, il che li mise a disagio. I membri del personale di viaggio delle astronavi, civili ma di addestramento militare, non sapevano molto di astronomia oltre a quella parte puramente tecnica che serviva loro per governare le astronavi; si aspettavano così di arrivare in una zona completamente inondata di luce, invece che in quelle tenebre. Ma era chiaro: le due galassie, per quanto vicine, distavano quasi trecento milioni di anni luce standard, perciò le supernove avvistata erano esplose trecento milioni di anni prima, e restavano solo piccole e deboli stelle di neutroni. Era comunque un bene: navigare al tempo della loro esplosione sarebbe stato sicuramente mortale, le navi sarebbero state incenerite, mentre passare quando tutto ormai si era spento e non restava altro che molto gas freddo e rarefatto e una miriade di stelle minuscole comportava al contrario rischi quasi nulli. Proprio una di esse era l’unica luce che risplendeva immersa nel buio, una brillante stellina bianca, dritta davanti alla piccola flotta della missione scientifica. Erano usciti intenzionalmente in quel luogo, la prima stella di neutroni qualsiasi avvistata casualmente nell’iperspazio (probabilmente la più vicina alla loro galassia nonché la prima avvistata tempo prima, ma non era detto, vista l’imprevedibilità locale dell’iperspazio) era perfetta per cominciare a studiare il fenomeno per il quale erano venuti.

Restarono un mese in orbita intorno al piccolo astro, ad una distanza di sicurezza da evitare le forze di marea. Le analisi degli scienziati mostrarono risultati forse deludenti, ma che in fin dei conti erano piuttosto attendibili: era una normale pulsar, relitto di una supernova, come ne avevano analizzate già in passato nella loro galassia. La missione si spostò poi verso altre stelle in ogni parte della galassia, e in altri tre mesi ne analizzò diverse, senza riscontrare anomalie di sorta. Arrivati alla quinta stella, una di quelle più vicine al centro galattico, che sembrava solo leggermente più grande delle altre, e non presentava altre particolarità, un giorno però il radar di precisione di una delle navi captò un segnale, di una piccola massa, non molto distante da dove si trovava la nave. Era la prima massa che il radar indicava, mentre nei mesi precedenti non avevano trovato nemmeno il più piccolo meteorite, cosa che invece accadeva spesso nella loro galassia, e gli astronomi spiegarono che era probabile che la maggior parte dei corpi celesti rocciosi fossero stati disintegrati nelle supernove, e le nubi di polvere che avevano incontrato ogni tanto non interferivano coi radar. Dopo un consulto tra le altre navi, si decise di avvicinarsi all’oggetto per vederlo, ed eventualmente di raccoglierlo, se avesse dimostrato di avere qualche interesse scientifico.

L’oggetto si rivelò essere una capsula sferica di titanio rinforzato al carbonio, in una lega particolare che a quanto pareva dalle analisi fisio-molecolari poteva resistere a temperature e pressioni elevatissime. La perfetta sfericità di quello strano modulo era deviata solo da una piccola sporgenza su di un lato. La sporgenza venne spinta quasi fortuitamente, abbassandosi e rivelandosi un bottone, e su un altro lato della capsula si aprì un pannello prima invisibile. Uno schermo apparve, con grande stupore di tutti i presenti, e al suo interno fece la sua comparsa un essere bizzarro: ricoperto di strani e foltissimi peli marroni in tutto il corpo, aveva un volto stranissimo, con tre occhi disposti a forma di triangolo con la punta rivolta verso in giù, il naso assente, una specie di piccola apertura come bocca. Si trovava accanto alla capsula, durante il filmato, per questo coloro che assistevano alla proiezione in un clima surreale poterono notare come l’alieno fosse altissimo, quasi il doppio di loro. In una lingua stranissima, lenta e dissonante alle loro orecchie, l’alieno parlò per quasi un’ora standard, prima che il video si interrompesse. Il significato di quelle parole era incomprensibile per tutti ovviamente, ma per fortuna, a bordo dell’ammiraglia delle tre astronavi, c’era un computer con l’avanzatissima tecnologia fornita dall’Università riunita del pianeta Dolnes, la più avanzata della galassia in quanto a linguistica, e capace, anche da pochissime parole, di risalire alla lingua completa, e di compiere quindi una traduzione, per quanto magari non con la certezza di correttezza (c’era una probabilità di sbagliare una parola del 3,85%, su un messaggio sconosciuto della lunghezza di quello del modulo), comunque giusta.

Il computer lavorò a lungo, vista la complessità dell’operazione; ma infine diede il responso che tutti aspettavano con impazienza, e che ognuno potè infine leggere, dopo tre giorni standard di attesa, sullo schermo del computer comune, con tutti i partecipanti alla missione che, come in occasione della cattura della capsula e della prima proiezione del video, si erano radunati sull’ammiraglia. La traduzione del discorso fu letta all’equipaggio dal capitano della nave principale, generando un ondata di sbigottimento: il suo contenuto era così terribile che non si riusciva nemmeno a crederci. Ci fu chi si sentì male, chi rimase poi nella sua camera per giorni e giorni, addirittura uno degli scienziati ne fu così turbato da tentare il suicidio, sventato prontamente dall’equipaggio della sua nave. Dopo diversi giorni, quando lo shock si fu attenuato, ma l’orrore era vivo nei cuori di tutti, e non poteva essere attenuato, si decise all’unanimità di portare con se il modulo recuperato, come prova di ciò che avevano appreso lì, ma di lasciare immediatamente quella galassia. Non c’era alcun pericolo, ormai, ma per tutti era insopportabile restare ancora lì, tanto era il raccapriccio e il disgusto diffuso dalle parole del messaggio. Il giorno standard dopo, le tre astronavi partirono, dirette alla loro galassia madre.

Questo era il contenuto del messaggio: “Qui Hyran Dezhar, della razza Phirye, originario del pianeta Kojjares, fisico dell’università di Torador, pianeta capitale della Federazione Galattica. L’apocalisse è ormai alle porte del pianeta, e abbiamo poco tempo, ormai, prima che la fine sia giunta, ma vorrei lo stesso usare il poco tempo che mi rimane per lasciare ai posteri una testimonianza diretta di ciò che accadde, affinché questa tragedia non venga mai dimenticata, sempre che la vita possa ancora esistere dopo quello che è successo ormai in tutta la galassia e che sta per succedere anche qui. Tempo fa, la nostra galassia era pacifica e unita, una grande Federazione Galattica, che comprendeva tutti i pianeti conosciuti su cui si trovavano esseri intelligenti e senzienti. La Federazione era ancora giovane, all’epoca, così non tutta la galassia era ancora esplorata, e ogni tanto si compivano delle missioni per trovare altre razze intelligenti, da istruire con le tecnologie iperspazi ali, per farle unire ad essa . Circa mille anni standard fa, un avventuriero nativo di Kym, Jois Avall, scoprì uno di questi pianeti, che i suoi abitanti chiamavano Terra, chiamando se stessi “esseri umani” o “terrestri”. Non l’avesse mai fatto! Gli umani erano una razza estremamente intelligente, che solo per una sfortunata coincidenza non possedeva ancora la scienza dell’iperspazio. Una volta acquisite le nostre conoscenze, però, questi terrestri avanzarono moltissimo nel campo scioentifico, con soluzioni geniali, mai adottate prima. Non tutti gli umani erano però pacifici e acutissimi ricercatori: la maggior parte, anzi, erano gente immorale, e senza scrupoli, che adoperava la propria intelligenza solo per il proprio bene egoistico, senza curarsi degli altri; la razza umana chiamava questa caratteristica col termine“avidità”, unica razza a possedere un vocabolo per descrivere una cosa inimmaginabile per ogni altro popolo galattico. Così, una volta possedute le prime navi iperspaziali, gli umani conquistarono molti pianeti disabitati o senza razze intelligenti intorno al loro pianeta, e non solo per alleviare la pressione demografica, ma creando col tempo un grande regno a se, quasi indipendente dalla Federazione, dominata dal centro stesso da un unico capo, che si autodefiniva “Imperatore dell’Impero Terrestre”. Più passava il tempo, e più gli Imperatori si facevano avidi, e le loro mire si espandevano sempre più. Arrivò alla fine il giorno, ormai venti anni standard fa (lo ricordo chiaramente, ero giovane all’epoca ma lo ricordo chiaramente), e meno di mille anni dopo la scoperta della Terra, che l’Imperatore Terrestre Ferdinand IX dichiarasse guerra alla Federazione. Allora l’uomo rivelò un’arma segreta: un distruttore di masse, un macchinario che consente di creare un onda iperspaziale particolare che interagisce con le particelle di idrogeno, trasformandole direttamente in energia. Con questo metodo, colpirono Ompled, un piccola pianeta alla periferia del sistema, ai confini dell’Impero Terrestre, trasformando la stella in una supernova, e nelle loro intenzioni questo doveva essere il primo atto di una guerra che avrebbero vinto con facilità. Ma il risultato fu oltre le aspettative degli umani: l’onda non si fermò come previsto, ma anzi continuò, trasformando in supernove anche le stelle attorno, senza sosta, fino a che anche la Terra venne inghiottita dal suo stesso sole; ora la galassia, in soli venti anni, è per oltre la metà esplosa, e secondo i nostri calcoli l’onda continuerà fino all’estremo opposto del nostro sistema stellare, e proseguirà arrivando perfino quasi a sfiorare le nubi di Magellano, perciò tra altri 20 anni di noi non rimarrà più nulla. Per salvarci dalla fine della nostra civiltà, noi dell’Università di Vokin, qui su Torador, abbiamo deciso di mandare alcune capsule con questo discorso, nella speranza che qualcuno riesca a sopravvivere e a tramandare il nostro disastro, o magari che qualcuno trovi il modo per superare le distanze abissali che noi ancora non possiamo attraversare, e che arrivi qui dalla vicinissima Galassia di Andromeda. Capsule come questa, con lo stesso messaggio (solo questa ultima parte finale varia) sono state spedite un po’ ovunque nella galassia, a Undi, a Barapos, a Lorwenn, a Rahapea, a Siqq, a Paokertix e in decine di altri posti, tra cui anche alcuni pianeti dell’ormai estinto Impero Terrestre, tra cui la stessa Terra, Aurora, Oceanworld, Altair IV, Invictus e Anacreon, mentre questa avrà l’onore di ruotare intorno al sole della capitale, Torador. Ecco, è tutto. Qui Hyran Dezhar, scienziato e patriota della Via Lattea; anno standard 5122. Un addio, con la speranza che qualcuno riesca a ricevere questo messaggio, e che non faccia gli stessi errori che hanno fatto gli Umani. Addio.”

venerdì 16 luglio 2010

Passo indietro parziale

Oltre alla poesia, pubblico anche una brevissima comunicazione. Ho disattivato il commento libero 10 giorni fa, sull'onda emotiva di quello che era successo allora. A freddo, penso di aver forse esagerato un po', quindi da ora riapro il commento a tutti. Comunque, sulle altre cose non cambiano le cose, chiunque da ora in poi è caldamente pregato di non commentare in via del tutto anonima; inoltre, ogni commento non civile non sarà tollerato e verrà cancellato.

Fuoco e ghiaccio

Intanto che la riscrittura dei due miei racconti procede a rilento, colpa un po' del caldo, un po' delle tante altre cose che ho per la testa (ma uno di essi ormai è quasi completo), per ingannare l'attesa posto una poesia (o un abominio/cagata pazzesca, se volete :D) da me composta oggi, e che tratta sempre della mancanza di sonno, resa ancora più ardua dalle "condizioni termiche" di questa estate. Non è proprio granché, ma spero che sia di gradimento.

Fuoco e ghiaccio

Nella grande buia camera
Disteso sul mio letto
Aspetto di dormir
Immerso nei miei pensieri

Ma il caldo è soffocante
Persin il respirare è
Quasi doloroso
E mi sento come se fossi
Avvolto da lingue
Di fuoco invisibile
Ma che infiammano
Fino all'intimo del cuore,
E non certo metaforicamente

Ma semmai usassi
Il ventilatore, unico sollievo
Dall'afa della cappa scura
Il tormento non sarebbe
Certo inferiore, vista
L'aria che emana, che
Riesce a freddarmi tanto
Quanto fosse ghiaccio,
Sino al centro delle mie ossa.

E non mi resta che subire
Le fiamme che mi consumano
E il gelo che mi divora
Mentre il sonno mai arriva.

martedì 6 luglio 2010

Cambio nei commenti: una questione di civiltà

(il post è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale)

Dunque: probabilmente la maggior parte dei pochissimi utenti di questo blog non si sarà accorto di quello che è successo oggi pomeriggio su questo blog, ed è ovvio, visto che non ne resta praticamente traccia. Per questo, ecco un riepilogo. Qualcuno ha commentato, in via del tutto anonima, la mia poesia "Terremoto", pubblicata oltre un anno fa, per due volte, cancellando poi i suoi commenti subito dopo. Cosa c'era scritto in questi commenti? Il primo recava il seguente messaggio (lo riporto perché se sperava di evitare una figuraccia, affari suoi):

"Partendo innanzitutto dal fatto che una poesia non è fatta da parole che vanno a capo senza un senso (per usare un eufemismo) ma sinceramente: questa è una poesia o una specie di articolo/schifezza con la libertà di licenza poetica (???) nella frase "E i superstiti, ormai senza casa vagava per le strade"?????????????

Ma dico io... questa "poesia" l'avrebbe scritta anche un bambino di 4 anni. Non c'è poesia, non c'è ricerca, non c'è licenza poetica, non c'è il minimo piacere nella lettura di una cosa così abominevole.

Ah, sono abruzzese. Mi dispiace, ma cambia hobby perchè questo non fa proprio al caso tuo..... "

Ora, io penso che ci siano due modi di esprimere un concetto o una propria opinione: il metodo civile e il metodo volgare. Ora, non voglio dire che io ho sempre usato il primo, e a volte nei momenti di stizza ci può anche stare di arrabbiarsi; ma di norma, per quanto mi sia stato possibile sono stato sempre civile, al contrario di questa persona. Un comportamento civile non risiede solo l'uso un linguaggio "diplomatico", ma anche di evitare di frequentare determinati ambienti, con cui si è incompatibili. Per esempio io, da amante di heavy metal, classica, ecc. potrei andare nei siti di coloro che ascoltano musica "da radio" e con motivazioni peraltro validissime, dal mio punto di vista, potrei affermare che ciò che a loro piace fa schifo. Perché dunque non l'ho mai fatto e mai lo farò? Questione di civiltà. Allo stesso modo, chi trova la mia letteratura abominevole, se è civile può anche non commentare i miei post, nessuno chiede la sua dotta opinione. Oppure può farlo, io sono ben tollerante anche verso i commenti negativi, ma purché siano critiche costruttive, non insulti verso la mia persona come verso chicchessia. In secondo luogo: perché scrivere come anonimo e poi cancellare il proprio messaggio? Per me è un atto che denota non solo carenza di motivazioni (è un abominio di poesia, secondo costui che evidentemente è il nipote di Dante... ma allora perché non ci fa leggere le sue poesie che sicuramente sono qualcosa di stupefacente?), ma anche una certa codardia, paura di far arrabbiare qualcuno, un comportamento che, passatemi il neologismo, definirei "bimbominkiesco". Purtroppo per lui, ad ogni commento mi arriva una mail, perciò può essere vigliacco quanto vuole, ha scritto ed ora se ne deve prendere la responsabilità. Ad ogni modo non finisce qui, perché dopo qualcuno, sempre anonimo (ma si può ragionevolmente supporre che sia stata la stessa persona, con pochi dubbi), ha lasciato un nuovo, corto, commento:
E' una cagata pazzesca (cit.)
Wow! Che poesia! Ha ragione, le mie poesie impallidiscono di confronto a questo unico verso meraviglioso! Costui deve certamente essere un grandissimo intellettuale, per scrivere una frase del genere.

Comunque, veniamo al punto: come chi mi conosce abbastanza sa, in certe occasioni non ho mezze misure. Dopo questo commento, ho deciso di chiudere i commenti agli anonimi, quindi potrà commentare solo chi ha un account google. Non è importante, le persone che conosco e che vorrebbero commentare hanno un account google, e l'unica persona che non c'è l'ha a cui voglio bene, ossia la mia ragazza, presto l'avrà. Sarò troppo severo? Probabile, ma non voglio che un nessuno qualunque che nemmeno fa sapere chi è possa venire qui e senza motivo offendermi e farmi arrabbiare (obiettivo che ha raggiunto bene, complimenti a costui e al fatto che non ha scopo e motivo di vivere nella vita se non nell'infastidire gli altri, proteggendosi vigliaccamente dietro uno schermo di un computer). Non lo accetto. Perciò, ecco la limitazione, e con questo il caso è chiuso.

Aggiornamento: non so come mai, ma ora i commenti sono apparsi sotto alla mia poesia. Ritiro quindi le accuse di vigliaccheria, ma la gravità delle sue azioni resta, comunque.

P.S. comunque, un ringraziamento va al mio anonimo lettore, che ha dimostrato un'importante verità sociologica: i bambini minori di 12 anni non dovrebbero stare davanti al computer, specie quelli in piena crisi ormonale che danno addosso a tutti e tutto senza motivo.
P.P.S. un ringraziamento (non sarcastico, stavolta :D) va a Manu, per avermi mostrato il suo appoggio anche in questa situazione deleteria.

mercoledì 30 giugno 2010

Volta stellata

Ecco una poesia naturalista, di quelle che a volte compongo, ed è dedicato alla volta celeste. Null'altro da aggiungere, se non che dedico anche questa poesia alla mia Manu, sperando che ci aspettino ancora tanti cieli stellati insieme. Null'altro, se non che spero vi piaccia

Volta stellata

Al termine di un giorno
Felice o triste, che sia
E' così bello rilassarsi
Sedendo e guardando
Il notturno cielo:

Ecco là il bel cigno,
La gigante nordica croce;
Poi la Lira, con Vega,
E l'Aquila, che vola
Nel cielo estivo

Oppure vedo Orione,
Il gigantesco, e Sirio
Che lo segue da vicino;
Castore e Polluce, i gemelli
Svettano in inverno.

E mentre il mio sguardo
Vaga da parte a parte
Contemplo l'immensa
Forza, e la grandezza
Dell'universo;

E nel mio cuore
Un po' di malinconica
Felicità sale
E mi sento in pace
Con la natura tutta.

domenica 27 giugno 2010

Attraverso le profonde tenebre

Dopo un periodo di "magra", sono finalmente riuscito a scrivere ben 3 racconti, anche se due sono solo delle riscritture di racconti già scritti ma perduti prima ancora di pubblicarli. Il terzo, quest'ultimo, è anche il primo che pubblico, mentre a breve finisco la riscrizione degli altri e pubblico anche loro. Questo comunque è un racconto onirico e in qualche modo sperimentale, enigmatico specie nel finale, ma che spero vi piaccia.

Attraverso le profonde tenebre

Quando mi svegliai, la luce era accecante, così tanto che anche a occhi chiusi mi dava un po’ di fastidio. Dovetti aprirli molto lentamente, man mano che mi abituavo, e dopo qualche minuto riuscii finalmente a tenerli aperti. Mi resi conto allora di essere in un ampia stanza, dalle pareti, soffitto e pavimento compresi, completamente bianchi, e senza la più piccola macchia. Su uno dei lati corti della sala, vi era l’unico oggetto in una stanza altrimenti completamente vuota, un’unica porta a vetri, con appeso un cartello: “giusta via”. Io mi sentivo come svegliato da un sonno di mille anni. Non mi ricordavo cosa c’era prima, o meglio: avevo dei ricordi che esisteva qualcos’altro, al di fuori della stanza, ma non riuscivo a focalizzare alcun ricordo in particolare, come se la mia mente si fosse improvvisamente svuotata del tutto e delle mie memorie non rimaneva, appunto, che il ricordo della loro presenza. Ad ogni modo, non aveva senso rimanere lì, sdraiato sul candido pavimento, così mi alzai e lentamente, sgranchendomi le gambe, che sentivo abbastanza addormentate, mi avviai alla porta. Dal vetro smerigliato, intravedevo dall’altra un’altra stanza, leggermente meno illuminata di quella in cui mi trovavo. Senza pensare a nulla, maneggiai il pomello, quindi attraversai quell’uscio. Fu così che tutto cominciò

Mi trovai in un nuovo ambiente, ancora più largo del precedente, di un colore beige tendente al grigio. Ogni tanto il muro presentava qualche crepa, quasi invisibile, ma nel complesso regnava l’ordine e il grande stanzone sembrava quasi come il precedente. Sul fondo, due porte, mentre alle mie spalle la porta da cui ero entrato sembrava essere scomparsa subito dopo che l’avevo varcata. Non sapendo cosa fare, e senza pensieri, attraversai la stanza fino alla parete su cui si aprivano i due usci. Su uno, il più a sinistra, c’era di nuovo il cartello “giusta via”, ed era come la precedente, di vetro smerigliato; e dall’altra parte si vedeva ancora un ambiente, ancora di poco più buio del precedente. L’altra porta, invece, era di legno, completamente spoglia, un asse con un pomello. Volli comunque prendere la strada che era indicata come giusta, così entrai nella porta a vetri.

La grande camera era praticamente identica alla precedente, sennonché questa era grigia e l’intonaco alle pareti era abbastanza scrostato e con diverse crepe, come usurato dal tempo. Davanti, nella parete opposta a me, vi erano tre porte, e come al solito, spinto in parte da curiosità, e in parte dalla consapevolezza di non poter far null’altro, attraversai l’ambiente fin lì. Una delle tre porte era completamente trasparente, e dall’altra parte si vedeva una luce violetta lampeggiare, e delle ombre strane muoversi, e stranamente mi sentivo attratto da quella visione. La porta centrale era di mogano, semplice e spoglia; la porta a sinistra invece era più chiara, invece, come di noce, e vi era attaccato con un chiodo l’indicazione “giusta via”. Senza alcun dubbio, nonostante la porta a destra mi incuriosisse non poco, mi fiondai in quest’ultimo uscio, con un senso di inquietudine crescente.

Le mura della stanza erano grigio scuro, pieno di fessure e di scritte e disegni osceni che appena intuivo, nella luce del locale, soffusa ma non per questo dolce, solo angosciante. Un'unica luce intensa spiccava in fondo alla stanza, un quadrato di luce immerso nel grigiore generale. Irrequieto per la stanza in cui ero capitato, corsi subito dall’altra parte, turbato da scritte come “la fine è vicina”, oppure “l’unica via è il suicidio” che man mano mi passavano accanto, sulle pareti. Arrivato in fondo, scorsi le 5 porte sulla parete, e la luce proveniva da quella centrale. Dall’altra parte, non si vedeva altro che luce, e la cosa mi confortava non poco: fui quasi indotto ad aprire questa. Tuttavia, delle altre quattro porte, tutte uguali, tutte semplici assi di legno scuro, solo quella più a manca era contrassegnata dal ben noto cartello. Con una strana sensazione di pesantezza nel cuore, ma sentendo comunque di star facendo la cosa giusta, presi la porta di sinistra, e la varcai.

Il buio era totale, ora, e non riuscivo a vedere nulla, nell’oscurità più assoluta. Mi spaventai di quel buio che vedevo, e tentai di tornare indietro, ma invano: la porta era sparita come in ogni posto che avevo visitato precedentemente. Sentivo un odore penetrante e ripugnante, quasi vomitevole, indescrivibile nella sua bruttezza, e l’aria era irrespirabile, visto anche il terribile calore di quella stanza, che all’istante mi rese completamente madido di sudore, dalla testa ai piedi. Presi ad avanzare a tentoni, e più avanzavo più l’inquietudine aumentava. Ogni tanto, sentivo come delle voci lontane che mi sussurravano cose orribili in lingue sconosciute dal suono sgradevole, e ogni volta il mio stomaco si chiudeva e la paura mi coglieva. Ad un tratto, una voce più forte delle altre arrivò alle mie orecchie, e sentii come un leggero tocco, come di qualcosa che mi sfiorava appena il viso. Nel più totale panico, presi a correre alla cieca davanti a me, mentre le voci si intensificavano e sembravano svolazzare attorno a me, sempre più vicine. Corsi senza nemmeno mettere le mani avanti, e così alla fine sbattei la testa contro una parete, e poi non ricordo più nulla (dovevo essere svenuto), fino al mio nuovo risveglio.

Non so quanto ero rimasto lì sdraiato, se un ora, un giorno, o qualche anno, avevo perso a lungo la percezione del tempo; fatto sta che quando tornai cosciente era buio quasi quanto prima. Le voci erano sparite, ma lo stordimento e il disorientamento che seguirono alla ripresa lasciarono presto il posto ad una nuova inquietudine. Mi alzai con fatica, visto che il pavimento sembrava in qualche modo coperto di qualche sostanza appiccicosa e disgustosa, e repressi un mezzo conato di vomito. Le tenebre si erano diradate un minimo, giusto ciò che bastava per vedere una serie di porte nere tutte uguali che si aprivano sulla parete contro la quale avevo sbattuto. Con la paura nel cuore, ma comunque sempre deciso a fare la cosa giusta, presi la porta più a sinistra che ovviamente era contrassegnata dall’ormai ben noto cartello.

Mi ritrovai nella stanza da cui ero entrato nell’ultima. Rinfrancato, andai avanti e ancora una volta presi la via giusta, e ritrovandomi nella sala ancora precedente, più fiducioso, andai avanti sempre per la giusta via. Stanze più scure e rovinate e stanze più chiare e composte si alternavano, ma non finii mai più, con gran sollievo, in una stanza di quelle completamente buie. Tuttavia, man mano che avanzavo, l’euforia di essere uscito dall’incubo del “salone delle tenebre profonde” (come nella mia mente avevo chiamato quel luogo buio e spaventoso che avevo visitato) calava sempre più, e alla fine ero di nuovo irrequieto. Mi sentivo in trappola, come se fossi in un labirinto senza via di uscita.

Continuai a vagare per quelle sale per quelli che sembrarono mesi, senza mangiare, senza dormire, con l’unico desiderio di andarmene da quel luogo che avevo iniziato ad odiare. Quando ormai tutte le speranze mi stavano abbandonando, però, qualcosa finalmente accadde. Attraversai la giusta via, e invece che nella solita stanza grigiastra, mi ritrovai nel locale dove tutto era cominciato. Era molto più piccolo, ora, una specie di corto e stretto corridoio, ma senza dubbio era la stanza da cui ero entrato. Dall’altra parte, la porta a vetri smerigliati mi aspettava, ma di là intravidi qualcosa che mai mi sarei aspettato: giallo chiaro, e azzurro. La visione era meravigliosa, ormai colori come quelli non li vedevo da tantissimo tempo, abituato a quei toni di grigio e di tanto in tanto a qualche colore scurissimo e pallido che proveniva da una delle porte. Alla vista di quei colori vividi, l’emozione mi prese, e commosso mi avviai alla porta. La aprii, e mi trovai fuori. Il sole splendeva alto nel cielo, e illuminava la spiaggia, e il mare era azzurro e blu. Era tutto così bello! E poi compresi… ce l’avevo fatta, e ora davanti a me si stendeva un oceano di vita e d’amore.

sabato 19 giugno 2010

Alla mia angelica metà

Ecco qui una poesia per commemorare un evento speciale, oggi è infatti il compleanno della mia fidanzata. Fin'ora, per lei non avevo pubblicato nulla sul mio blog, ma ora, in occasione di questa ricorrenza non posso che farle gli auguri con un omaggio del genere. Non è una poesia delle mie solite (infatti ho messo addirittura l'etichetta "poesie felici" :D), e non è importante nemmeno che sia di gradimento, basta che piaccia ad una persona sola (cosa di cui sono sicuro).

Alla mia angelica metà

Tanto bella, tanto meravigliosa
Tu sei, o amore mio
Che una mia poesia
Quanto bella possa essere
Non può affatto misurarsi
Nemmeno con l’amabile suono
Del tuo meraviglioso nome,
O Emanuela, mia adorata.

Sei la prima, e l’unica
Persona che mai nella vita
Mi abbia amato tanto, ed io
Non posso aver altre che te.

Ci sono momenti
In cui il mi fai soffrire,
Alle volte per il tuo male
Gran dolor mi prende;
E alle volte mi sento
Di pianger, per te.
Ma tuttavia ciò che provo
Non cambia, or ne mai.

Poiché ti amo così, come sei,
Dolce e sensibile,
Simpatica e amorevole
Il mio mondo intero sei tu;

E sei il dolce angelo
Che dall’inferno della mia vita
Mi ha condotto al purgatorio
Di questa situazione agrodolce
Per attendere, entrambi trepidanti
Di risolver i nostri mali
E infin di volar via insieme
Nel paradiso dell’amore


Tanti auguri, Manu, ti amo tantissimo!

giovedì 10 giugno 2010

Insonnia IV

Una nuova poesia (fresca fresca, scritta oggi) sull'insonnia, siamo ormai alla quarta, ma non posso farci nulla, è un grandissimo problema, e quindi l'ho scritta, prima di completare un racconto che spero di postare a brevissimo. Non dico altro, spero che sia di vostro gradimento.

Insonnia IV

Ancora una mattina
Mi sveglio presto
Ancora una notte
Non prodiga di sonno.

Ed io mi sento sul punto
Di impazzire, o peggio
Ancora, di morire;

Tutto diventa oscuro,
Tutto è senza senso,
Tutto è dolore.

Infine, poi,
Una viva fiamma entra
Nella mia testa:
Questo è l'inferno

lunedì 31 maggio 2010

Insonnia III

Dopo le due poesie sull'insonnia che ho postato sul blog oltre un anno fa, eccomi qui con una terza poesia sull'argomento, che ho scritto molto di recente, in seguito al ripresentarsi, seppure in forma diversa, della mancanza di sonno. Se prima non riuscivo talvolta a prender sonno perché nel mio appartamento di allora era troppo caldo, stavolta sono affetto da una forma patologica di insonnia, che non mi consente di riposare a sufficenza mai, ed è quindi decisamente più grave. Sarò fissato, visto l'ultimo racconto ed ora questa? Certo, ma mi chiedo come potrebbe essere altrimenti, visto l'importanza di quello che mi succede. Ad ogni modo, spero che la poesia sia di vostro gradimento, anche se dubito di riuscire a scrivere cose ancora decenti.

Insonnia III

Coricato ancor sul giaciglio
Osservo l'orologio
Con sempre più scoramento
Nella mia anima.
Ancora una volta troppo
Breve è stato il mio sonno
Come già da mesi ad ora.

E pur essendo distrutto nel fisico
E nello spirito, ancor resto ore,
Ed ore a girar nel letto, tentando
Disperato, di dormire almeno
Un solo attimo, ma invano.

Così, giorno dopo giorno,
La mia vita si consuma
Ancor più, e sempre più
Tutto il mondo diviene
Vuoto e senza senso

venerdì 28 maggio 2010

22

E oggi sono 22 anni... nulla da dir in proposito se non "tanti auguri a me"...

mercoledì 26 maggio 2010

La scomparsa di Morfeo

Dopo molto che non ne scrivevo uno, ecco a voi un racconto inedito (mentre un altro è in preparazione). Il genere è il solito, fantascienza apocalittica, ma in più dentro ci ho messo la mia ormai debilitante insonnia. Potrà sembrare esagerato ciò che succede per colpa della mancanza di sonno continuata, ma vi posso assicurare che essendoci dentro a me ciò che ho scritto sembra tutto fuorché assurdo. Spero comunque che sia di vostro gradimento, il racconto.

La scomparsa di Morfeo

Il piccolo gruppetto di astrofili sulla collinetta scrutavano il cielo con il loro piccolo ma potente telescopio newtoniano, in cerca magari di qualche cometa, o di qualche altro oggetto interessante. Sarebbe stata la cosa più emozionante per loro tornare a casa consapevoli di aver scoperto qualcosa di nuovo; perciò, a turno, guardavano nell'obiettivo, muovendo lentamente lo strumento in una piccola area del cielo. E ad un tratto la scoperta avvenne: uno degli appassionati riuscì finalmente ad inquadrare una piccola zona di forma grosso modo apparentemente circolare e di colore grigio scuro in mezzo al panorama stellato, un oggetto che non era riportato su nessuna delle carte in loro possesso. Possibile che avesse scoperto una nebulosa oscura sconosciuta? L'astrofilo ovviamente non poteva saperlo, così dopo aver avvertito i suoi compagni di ciò che aveva visto, prese il cellulare, e compose il numero dell'osservatorio.

Occorsero pochi giorni di osservazione per capire la natura dell'oggettino scoperto per caso dagli astrofili: si trattava proprio di una nebulosa oscura, relativamente piccola (nemmeno mezzo anno luce di raggio) ma anche molto vicina al sistema solare. La scoperta più sensazionale era però il fatto che la nube si avvicinava ad una velocità estremamente alta alla Terra, ed ecco perché era diventata “visibile” solo poco tempo prima la sua scoperta (o meglio, aveva cominciato a risaltare sullo sfondo stellato come macchia scura). La velocità di avvicinamento era la cosa che colpiva di più: era prossima alla velocità della luce, ma tuttavia, come attratta da una massa invisibile, sembrava quasi rallentare il suo moto man mano che si dirigeva verso il sistema solare, anche se in maniera estremamente progressiva. La scoperta venne divulgata, e per qualche tempo non interessò la popolazione terrestre se non i membri della comunità scientifica e astronomica in particolare. Poi, però, passarono molti anni, e alla fine tutti poterono ammirare quella nebulosa, che da macchietta visibile solo con un telescopio si era trasformata in una grande chiazza scura (che si andava schiarendo lentamente, però, man mano che veniva illuminata dal Sole avvicinandosi ad esso) che più passava il tempo più copriva la volta celeste. La rotta era quella di collisione: e, dopo molto tempo dalla sua scoperta, alla fine la nube entrò nella parte interna del sistema solare, invadendo le orbite dei pianeti interni. La visione che si presentò alle persone fu allora insieme meravigliante ma anche spaventevole, in qualche modo: il cielo era diventato di un uniforme colore beige scuro, mentre il Sole non si vedeva più, ma appena si intuiva dietro alla coltre gassosa. Che cosa sarebbe successo, poi? Il pianeta sarebbe stato disturbato in qualche modo dalla nebulosa? Gli astronomi non sapevano dirlo con certezza, visto che non era mai stato osservato (ne simulato in alcun modo, data l’impensabilità della “collisione”) prima un fenomeno del genere.

La situazione non durò a lungo: La quasi totalità delle polveri venne risucchiata dal Sole, e così lo spazio compreso nell'orbita della Terra, come del resto quello che c'era fino a ben oltre il pianeta Nettuno, torno ad essere praticamente vuoto. Tuttavia, successe un fenomeno assolutamente imprevisto ed eccezionale, che stupì perfino gli astronomi: la parte più esterna della nube, che era di forma pressoché sferica, invece di allontanarsi rapidamente dal Sole o caderci dentro, cominciò, in uno strano gioco di meccanica celeste, ad orbitare intorno alla stella, ormai troppo lenta per sfuggire alla forza gravitazionale del sole. Come risultato, l'intero sistema fu come racchiuso in questo guscio di polveri e gas, quasi come intrappolato; e la visione che si aveva dalla Terra era insieme affascinante e sconcertante. La nube esterna non si era minimamente dissolta, era ancora molto densa, ed essendo anche di albedo molto alto, ossia molto chiara, rifletteva molto la luce solare: come risultato, anche la più buia notte senza Luna era invece comunque in una sorta di crepuscolo etereo, mentre le stelle erano totalmente invisibili dietro alla coltre della nebulosa, e i pianeti risaltavano solo perché erano di poco più luminosi dello sfondo chiaro. L'unico “buco” nella nube era quello che indicava il punto dove il Sole era penetrato, ma era comunque ben poca cosa a quella distanza, mentre il resto del cielo era colorato del pallido beige che la polvere dava loro. Gli astronomi erano sconfortati: non si era mai vista una cosa del genere, in centinaia di anni, nessuna nube con quella composizione e con quel comportamento era mai stata osservata in una qualsiasi parte dell’universo; ma la cosa che più preoccupava loro era il fatto che la nube non consentisse più l'osservazione degli oggetti celesti. E a ragione: in pochi anni, i telescopi diventarono completamente inutili, e gli astronomi furono disoccupati.

Presto, però, sulla Terra successe qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato, e che sembrava stranamente collegato alla nebulosa, anche se non si scoprì mai quale legame occulto ci fosse tra i due fatti. In maniera estremamente lenta, ma costante, ogni singolo uomo si accorse che più passava il tempo e meno riusciva a dormire, anche coloro che di solito non avevano problemi di insonnia. In un primo momento si diede la colpa di questo al chiarore notturno, che interferiva con i bioritmi degli uomini. Poi però la teoria venne accantonata, visto che gli animali non sembravano affatto soffrirne, anche se in teoria anche loro avrebbero dovuto subire gli effetti della luce nottura; e comunque lo stesso fenomeno si manifestava anche tra le persone delle popolazioni che abitavano sopra il Circolo Polare Artico, che erano abituate, per giorni o addirittura mesi, al Sole di mezzanotte, ben più luminoso del riverbero causato dalla nebulosa. Si cercò allora una causa fisica: analisi mediche, biochimiche, neurologiche, e qualsiasi altra analisi clinica non diede alcun esito, semplicemente non c'era motivo perché le persone non riuscissero a dormire, e che il fenomeno fosse condiviso da tutti. Anche le analisi ambientali non diedero frutti, non c’era nulla che non andava, aria ed acqua non erano alterate, sembrava tutto normale; e l’unica altra cosa da fare, analizzare la composizione della nebulosa, era impossibile, poiché essa era troppo lontana per essere raggiunta. Non sembrava esserci nessuna causa all’insonnia: eppure, essa c’era e aumentava di mese in mese, e nel giro di qualche anno nessuno, sulla Terra, riuscì a dormire per più di un ora a notte. L’atmosfera, in quei tempi, si faceva sempre più pesante sulla Terra. Le persone tendevano sempre più ad isolarsi in un loro mondo interiore, allucinate come erano dalla mancanza di sonno e dalla stanchezza mentale, ma anche fisica, che sempre di più l’assenza di sonno causava loro. Più si andava avanti, poi, e più la gente era in preda al malessere del non sonno, malessere che si esplicava in un’irritabilità estrema e in comportamenti che definire lunatici è dire poco. Cominciarono allora screzi tra persone, prima come piccoli litigi, quasi come ce ne erano prima; ma poi la violenza dilagò, ovunque nel mondo. Le forze dell’ordine prima tentarono di arginare l’escalation: ma anche i poliziotti erano umani, e finirono per non interessarsi più all’ordine pubblico minimamente, indifferenti a tutto, quando non commettevano di persona atrocità di sorta. E così, nel mondo, ovunque, dilagarono violenza e morte, mentre la civiltà non esisteva più:ogni uomo e ogni donna ormai pensava solo a soddisfare il proprio ego e i propri piaceri, visto che la sofferenza che l’insonnia estrema causava loro non gli permetteva nemmeno di formulare un pensiero che andassero un minimo oltre le funzioni primarie dell’organismo, mentre i pochi che riuscivano a restare lucidi e a controllarsi dovevano subire l’orrida situazione soffrendone moltissimo, e arrivando infine al suicidio, quando il dolore non era più sopportabile. Le peggiori nefandezze furono compiute: stupri, omicidi a sangue freddo, torture gratuite e immotivate. A nessuno importava più di nulla, il malessere da insonnia era troppo forte.

Questa situazione terrificante non durò a lungo, giusto qualche anno, ma ciò che successe poi fu ancora più orribile. L’uomo più potente del mondo, il presidente della Lega Internazionale della Terra, che fino a quel momento era riuscito a rimanere ragionevole, sopportando il dolore del non-sonno, perse il senno, e ordinò il lancio di tutti i missili atomici che poteva controllare; e lo fece senza un motivo ma quasi per divertimento, come in un gioco malsano. All’epoca i missili erano controllati da computer sotto il diretto comando del presidente, proprio per evitare la follia di qualcuno degli “uomini dei bunker” (visto anche che oramai quelle armi erano solo una precauzione quasi inutile, essendo l’ultima guerra finita da quasi 100 anni). Come spinto da un demone, l’uomo lanciò missili in tutto il globo, ed il risultato, come si può ben immaginare, fu catastrofico: una nube altamente radioattiva si sollevò e contaminò l’intero pianeta, distruggendo quel poco che le esplosioni nucleari non avevano polverizzato. Nulla sopravvisse, nemmeno i batteri, e in pochi mesi, qualche anno dopo la perdita del sonno, il pianeta Terra era un deserto vuoto e brullo, senza più alcuna traccia di vita.

La nave “Sentinella IXX” si trovava nel quadrante M 5 quando arrivò l’avviso che entro tre giorni standard il pianeta abitato n. 287388 avrebbe terminato la Prova. Era un pianeta del quadrante M 6, quindi molto poco distante da lì, poco più di un’ora standard galattica di viaggio iperspaziale. Il capitano, un Baasbiano del pianeta Seqq, avvertì telepaticamente il Centro Scientifico per cui lavorava la missione che sarebbe stata la sua nave ad avvicinarsi al pianeta per vedere gli esiti della Prova, poi inserì nel computer la rotta e lasciò partire i motori, e in breve tempo la nave arrivò nei pressi della Nebulosa di Prova. Spingendo la nave al limite della velocità della luce, il capitano puntò nella nebulosa, dirigendosi al suo interno, mentre per effetto relativistico il tempo interno della navetta rallentava rispetto all’esterno, e la Nebulosa della Prova spariva come programmato, senza lasciare traccia, dopo i tre giorni previsti. In breve tempo (per i passeggeri della navetta) il pianeta abitato fu a portata di telescopio. Lo spettacolo che gli scienziati della “Sentinella IXX” fu sbigottente e assolutamente inaspettato, però: il pianeta era disabitato, completamente, nonché radioattivo. Che ci fosse un errore nei calcoli? Che avessero sbagliato sistema solare? Eppure non sembrava esserci nulla del genere, il pianeta non sembrava quella “Terra”, come i suoi abitanti lo chiamavano, che, circa cinquecento anni standard prima, una delle navi automatiche di ricerca aveva individuato, e che era stato poi analizzato da sociologi e scienziati per anni per comprendere se la sua popolazione era abbastanza avanzata scientificamente e moralmente per poter far parte della Federazione Galattica dei Pianeti. Il responso era stato positivo, la razza terrestre era molto intelligente, anche se ben poco longeva rispetto alla media delle altre razze, e seppur ancora immatura sul campo etico e morale poteva fare dei grandi progressi; così si era deciso di imporre alla Terra la Prova, quella di routine per ogni pianeta, che serviva a vedere se l’aspirante nuovo popolo era adatto in termini psicofisici a stare nella Federazione: se gli umani fossero riusciti a mettersi in contatto telepaticamente con le particelle della nube, imparando tutto ciò che c’era da sapere sulla Federazione da questa, allora il loro ingresso sarebbe stato compiuto; altrimenti, la mancanza di poteri telepatici avrebbe impedito la loro entrata, visto che era impossibile comunicare con gli altri popoli senza poteri telepatici. In quest’ultimo caso, si sarebbe aspettato circa mezzo milione di anni standard, prima di tornare a ripetere la prova, visto che ormai era certo che ogni popolo sviluppava la telepatia, prima o poi; ma erano di più quelli che la sviluppavano presto, visto che tra i quasi 300 mila pianeti che avevano avuto quella Prova in due milioni di anni standard, solo un paio di centinaia non l’avevano superata, e metà di essi l’aveva ripetuta in seguito, passandola senza problemi. Che cosa era successo, quindi, visto che la Terra era il primo pianeta a subire questa sorte? Il gruppo di sociologi e scienziati si collegò telepaticamente alla Nebulosa di Prova che stazionava nell’iperspazio, e apprese tutto ciò che era successo sulla Terra, tutti i tristi fatti che erano successi nella Prova. Ognuno ne fu profondamente turbato, e insieme si sentirono tutti responsabili della fine di quel bellissimo pianeta; ma nessuno poteva sapere che i terrestri erano così vulnerabili alle onde telepatiche, nemmeno gli scienziati che li avevano analizzati lo avevano capito; perciò, con la morte nel cuore, si decise di comune accordo di non incolpare nessuno.

La nave ripartì, diretta a Linadris, il pianeta centrale della galassia, per poter spiegare a tutti cosa era successo. E lì rimase la Terra deserta, orbitante tristemente intorno al suo Sole nel suo sistema solare un tempo così vivo ed ora morto per sempre.