venerdì 3 dicembre 2010

Prigioniero di se stesso

Dopo pochi giorni dalla pubblicazione dell'ultimo racconto riscritto, eccone uno nuovo, che son riuscito a scrivere in soli due giorni, non so perché ma con questo le parole mi venivano naturali. Probabilmente però è perché è un argomento di attualità che già in passato ho trattato qui, su questo blog, poco meno di due anni fa, ossia il tema dell'eutanasia. E' un racconto molto drammatico e al contempo molto sentimentale, forse un po' macabro in alcuni punti ma sempre pieno di pathos e di emozioni; nel complesso lo ritengo uno dei racconti più belli che ho scritto, e spero che sia di gradimento anche ai miei lettori.

Prigioniero di se stesso

Era un bellissimo pomeriggio estivo, e il ragazzo passeggiava per la strada, con la testa leggera per la felicità. Era appena uscito di casa, e stava raggiungendo la sua solita, piccola compagnia e la sua amata ragazza alla pizzeria, dove era prevista la festa per il suo diciannovesimo compleanno. Non era importante come il traguardo dell’anno precedente, quello della maggiore età, ma comunque era pur sempre un motivo per fare un piccolo party con pochi fedeli amici. Girò l’angolo ed eccoli lì, davanti al locale, erano arrivati tutti ormai, aspettavano solo il festeggiato: quando lo videro, lo salutarono calorosamente e in maniera festosa. Agitando la mano a sua volta e gridando i suoi saluti di risposta, il giovane si apprestò ad attraversare la strada che lo separava da loro. Lui era giudizioso, così guardò a destra e a sinistra prima di attraversare (senza vedere nessuno), nonostante l’entusiasmo lo spingesse a correre da loro; ma nemmeno la sua prudenza poteva salvarlo dal ricchissimo pirata della strada che, alla guida di una Lamborghini, uscì a centotrenta chilometri orari da dietro la curva lì vicina, travolgendo il povero giovane in mezzo alla strada, senza la più piccola possibilità di evitarlo, e facendolo volare via come un sacco pieno di patate. Lui sentì appena le grida degli amici terrorizzati, nemmeno il dolore per aver sbattuto più e più volte il capo e il corpo sull’asfalto, prima di perdere totalmente i sensi.

Quando riprese coscienza, era sdraiato su un letto, chiaramente in ospedale. In pochissimo tempo divenne perfettamente cosciente di quello che aveva intorno, ma intuiva anche, in qualche modo che gli sfuggiva, che non era davvero sveglio, ma era come se vivesse uno strano sogno, in cui vedeva la realtà da dentro ma non era lui il padrone di se stesso. Intorno a lui, tante persone si muovevano, la maggior parte col camice bianco, ma c’erano anche non-medici: riconobbe la sua ragazza, in lacrime, e i suoi amici più stretti, tutti assaliti dallo sconforto. Dopo poco, arrivarono i suoi genitori, singhiozzanti anch’essi; e ancora dopo poco tempo, entrò nella stanza un dottore, che chiamò il gruppo di visitatori a se. Disse a tutti loro che le analisi purtroppo non lasciavano alcuna speranza, che il giovane si trovava in stato di morte cerebrale, e che non si sarebbe mai più svegliato, era in coma irreversibile. Ora tutti piangevano, tristissimi, e anche se fisicamente non aveva alcuna possibilità di muoversi, dentro anch’egli versava lacrime silenti. La tristezza però non si trasformava in rabbia verso il dottore: se per qualche strano motivo era cosciente, seppur in maniera onirica, come per un’arcana intuizione sapeva che il dottore stava dicendo il vero, che lui non avrebbe mai più potuto risvegliarsi, e che davvero la sua mente era irrimediabilmente danneggiata. Più ci pensava più era difficile accettare ciò che era accaduto, e sentiva che avrebbe preferito morire: non avrebbe mai più potuto star accanto alla sua fidanzata, non avrebbe mai potuto scherzare con i suoi amici, non avrebbe mai potuto vivere di nuovo, mai più. Era ormai rinchiuso nel suo corpo, intrappolato al suo interno come in una prigione senza via d’uscita, se non la morte.

Man mano che il tempo passava, le fratture che l’incidente aveva causato al corpo del ragazzo guarirono tutte perfettamente, addirittura senza lasciar particolari cicatrici; ma non era quello che importava al giovane, che continuava a rimanere cosciente in maniera onirica, vivendo la sua tragica situazione di morte come se fosse ancor vivo . Si chiedeva sempre come poteva essere ancora cosciente, visto che era morto cerebralmente: forse la parte del suo cervello danneggiata era più quella del movimento che quella del pensiero, e nonostante fosse in coma la sua mente continuava a lavorare; ma non era certo che questa fosse la risposta, e nemmeno poteva chiederlo a un dottore, visto che il suo corpo non rispondeva in quasi nessun modo, era come un blocco di pietra solida e inamovibile. Qualche movimento ancora gli riusciva: di respirare da solo non se ne parlava, per quello c’era una macchina infilata nella trachea, e un’altra gli sparava dritta nella gola una schifezza vomitevole, che per quanto nutriente e sana era davvero terribile da mandar giù; ma le palpebre si muovevano autonomamente, anche se lui non poteva controllarle, ed esse agivano solo in base al suo corpo. Succedeva così che certe volte aveva tantissimo sonno, ma era costretto a star sveglio, che la chiara luce d’ospedale gli entrava negli occhi spalancati; ed altre volte, avrebbe voluto vedere, se qualche persona cara gli veniva a far visita, ma le palpebre erano serrate, e non poteva farci nulla. A parte quest’unica azione però era completamente immobile sul suo letto, cosa che lo faceva soffrire non poco, visto che fin dai primi giorni di degenza in ospedale si erano formate, sulla sua parte posteriore, delle dolorosissime piaghe da decubito, alle quali nessuno faceva caso, visto che non si lamentava, e nessuno poteva pensare che fosse cosciente. L’unica cosa che riusciva a distrarlo provvisoriamente dalla sua sofferenza era la sua adorata ragazza, che lo visitava spesso, stava delle ore con lui, leggendogli qualche libro, e molte volte lo coccolava e lo baciava anche, nonostante lui non potesse, con sua grande tristezza, ricambiargli i baci e l’affetto. Erano gli unici momenti di felicità, in un vivere che per lui era diventato di colpo raccapricciante e senza senso, con l’unica libertà di rimanere lì, imprigionato e torturato dal suo proprio corpo.

Nei trent’anni in cui rimase attaccato alle macchine, il giovane, ormai uomo, divenne orrendo a vedersi, gonfio com’era per la mancanza di qualsiasi attività fisica. Anche se non si era mai considerato bello, rispetto a prima dell’incidente era diventato un mostro; per non parlare di tutta la sofferenza che provava, man mano che i suoi muscoli si atrofizzavano e morivano, dandogli delle dolorosissime fitte. Erano decenni che soffriva così, ma nonostante questo non riusciva ad abituarsi, era troppo duro da sopportare, e nella sua mente urlava per ore, senza però riuscire nemmeno a far neanche sussurrare il suo corpo. Oramai, i suoi genitori erano morti di vecchiaia, e praticamente tutti gli amici che aveva all’epoca del misfatto si erano pian pianino distaccati da lui, per vivere, giustamente, la propria vita: solo la sua fidanzata gli era rimasto vicina, accanto a lui. L’uomo soffriva a vederla lì, con la tristezza che le velava gli occhi, e sapeva che lei, per stargli accanto, non aveva avuto nessuna relazione, gli era fedele in maniera quasi commovente; aveva il suo lavoro e la sua vita, certo, ma lui, per l’amore che aveva ancora per lei, avrebbe preferito che così non fosse, avrebbe preferito esser solo, se questo avrebbe significato la sua felicità. Tuttavia, era sempre bellissimo averla accanto, anche se ormai l’età le segnava il viso per l’uomo la donna era sempre meravigliosa, e non solo fisicamente, ma anche per la sua dolcezza, e per la forza della sua determinazione. Prima dell’incidente, infatti, qualche volta si era parlato, nella loro coppia, di un argomento attuale come il fine vita, e la donna sapeva perfettamente che il suo amore voleva essere staccato dalle macchine, e lasciato a morire se gli fosse successo quello che poi accadde. Così, lei combatteva da quasi subito dopo l’incidente contro i politici compiacenti, i movimenti contrari al suo staccar la spina e tutto il resto, senza mai darsi per vinta, perché il volere del suo amore fosse applicato.

A trent’anni esatti dall’incidente, la sua ragazza riuscì finalmente ad ottenere il permesso, da parte del tribunale, di sospendere la sua alimentazione forzata; e quel giorno glielo annunciò, con le lacrime agli occhi, in parte per la felicità di essere riuscita, in parte per la tristezza di doverlo lasciar andare, finalmente. Ma se ci pensava non sarebbe comunque morto, in realtà il suo fidanzato era mancato trenta lunghi anni prima, e lei non aveva fatto altro che stare accanto al suo corpo, sperando che quell’uomo, l’amore della sua vita, potesse avere qualche residua speranza, nonostante sapesse che di speranze non ne aveva, di uscir dal coma irreversibile. Lui, nello strazio di una vita in trappola, era felicissimo del risultato ottenuto dalla sua anima gemella, e anche se non poteva farsi sentire, la ringraziò con tutto l’amore che ancora provava per lei. Dopo trent’anni, quei pochi giorni per morire di sete non sembravano tanti, ma passarono ancor più in fretta visto che lei gli fu tutto il tempo accanto, facendo sembrare la sua vita bella, per la prima volta in tanti decenni. Solo la sera del secondo giorno l’armonia fu rovinata, quando entrambi sentirono dei rumori provenienti dall’esterno: un gruppo dei cosiddetti “pro-life” si era assiepati davanti all’ospedale, e volevano entrare per riattaccargli la spina. Allora, entrambi si arrabbiarono: lui aveva deciso di morire per non dover più sopportare quello stato che non era vita, ed era stato aiutato dalla persona che amava in questo; quindi quella gente, che nemmeno lo conosceva, non aveva alcun diritto di imporgli una decisione dettata da fede o da chissà quale principio totalitario, che non accettava le scelte individuali. Fortunatamente però il gruppo non fu fatto entrare in ospedale, così lui poté continuare ad andare incontro al suo destino. Passò poco tempo, prima che il giovane sentì di star morendo letteralmente di sete; ma non gli importava, rispetto alla sofferenza che aveva dovuto patire in tutto il tempo passato immobile, quella era praticamente nulla. La sua fidanzata ancora lo abbracciava con amore, ed era come se lui riuscisse comunque a far sentire il proprio a lei, anche se non poteva ricambiare, purtroppo, il suo abbraccio. Poi tutto peggiorò, si sentiva veramente male, e sapeva che la fine stava per giungere. Miracolosamente, il suo corpo aprì le palpebre prima chiuse, e lui poté per l’ultima volta guardare gli occhi pieni d’amore di lei; poi sentì che finalmente stava per andarsene, e il suo spirito, finalmente, volò via libero… ma non prima di essersi un momento fermato.

Il suono dell’elettrocardiogramma piatto echeggiava ormai da due minuti, e i medici non avevano, ovviamente, tentato nemmeno di rianimarlo; ma lei ancora lo abbracciava, quell’uomo che era stato il suo unico amore, nei quarantanove anni della sua vita. Lo strinse ancora un po’, poi lo lasciò, e con le lacrime agli occhi si alzò in piedi. Lui non c’era più da trent’anni, ma ora anche il suo corpo era morto, e questo non era il suo unico impiccio: ricordava ancora come, quando era ancora giovane, si erano accaniti sul povero padre di Eluana Englaro, e di sicuro in oltre trentadue anni, se qualcosa era cambiato, dal punto di vista politico sul fine vita, era stato in peggio. Guardò ancora il suo uomo, che aveva richiuso gli occhi: ma quando li aveva aperti, ci aveva letto tanto amore e tanta riconoscenza, e solo questo l’aveva resa finalmente contenta, dopo quasi trent’anni di lotta. Stava quasi per andarsene, quando un sussurro la fece voltare. Sentì chiaramente pronunciare le parole: “grazie di tutto quanto l’amore che mi hai dato, luce dei miei occhi, e grazie per avermi ridato la libertà. Ci rivedremo oltre le cortine oscure della morte, ti aspetterò per tutto il tempo necessario, e ti amerò per sempre. Arrivederci, amore mio.”. La donna pianse dalla gioia a quelle parole, e poi, con il cuore più leggero, si recò a casa, dove avrebbe finalmente potuto mettere il cuore in pace e riposare, finalmente… come il suo amore stava facendo, infine libero, aspettandola dall’altra parte.

2 commenti:

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